La tragica realtà degli anziani costretti all'isolamento

Che ne è, che ne sarà mai dei “nostri vecchi”? Dei nostri genitori, nonni, parenti anziani, da tempo ospitati nelle RSA di Verona e ...

Che ne è, che ne sarà mai dei “nostri vecchi”? Dei nostri genitori, nonni, parenti anziani, da tempo ospitati nelle RSA di Verona e provincia? Diventati ben presto bersaglio della violenza del Coronavirus  sono ora ad alto rischio di mortalità.

Le notizie che giungono dalle strutture sparse sul territorio sono tragiche. Per la mancanza di protezioni sanitarie, qui dove è arduo mantenere le precauzioni e la distanza raccomandata, contagiati sono gli ospiti, contagiato è il personale assistenziale. Non si contano più i decessi.

Tremende le immagini che giorni addietro circolavano sulle reti regionali. Finestre blindate, persone anziane incollate ai vetri, come alle sbarre delle prigioni, tentavano di comunicare con i parenti lasciati fuori, a distanza. Ora più nulla.

Tutto è coperto dall’isolamento, ogni visita è inibita, solo qualche messaggio o telefonata. I familiari sono in allarme, si sentono ignorati, abbandonati dal sistema sanitario, quasi che i loro cari fossero pazienti di serie B rispetto ad altre fasce di età più giovani, forti, con probabilità di salvezza più alte.

In realtà la situazione è più complessa, non si tratta di operare scelte selettive, la vita è vita e va salvata in ogni caso, ma non sempre è possibile. A causa delle condizioni generali molto compromesse, queste persone non possono essere purtroppo sottoposte allo stress di terapie intensive, farmacologiche aggressive.

La carenza poi di dispositivi di protezione, operatori sanitari dedicati, posti di degenza adeguati, tocca più in generale tutta la popolazione colpita dal flagello. Altra cosa però, come sta emergendo, è l’occultamento dei decessi da Coronavirus per la consapevolezza postuma di non aver gestito preventivamente il rischio nelle RSA.

Sta di fatto comunque che, spostando l’attenzione dalla pesante emergenza ospedaliera, ora siamo di fronte ad un nuovo allarme che proviene dal territorio. Ma tutti queste considerazioni non servono certo a placare il dolore dei familiari ai quali non è nemmeno concesso vedere, salutare, abbracciare, forse per l’ultima volta, i propri cari.

Piangono, come Giobbe imprecano, non si danno pace. Ma perché a loro, ai loro vecchi, doveva capitare tale calamità? Non avevano già sofferto abbastanza nella vita? Non era bastato che queste longeve generazioni fossero sopravvissute ai mali della guerra, scampate alle carestie, superato i terremoti, si fossero salvate perfino da quelle memorabili epidemie del passato che avevano decimato intere famiglie?

Non avevano forse dato abbastanza al Paese, al progresso, al futuro dei figli? Era stata la loro una vita dura, fatta di continui adattamenti allo spirito dei tempi. Con dedizione e sacrificio si erano trasformati infatti, nell’arco di soli cinquant’anni, da contadini, servi, minatori, migranti, in operai, maestre, tecnici, artigiani per far studiare i figli, garantire loro un’esistenza migliore.
Mai venendo meno ai loro ruoli, in famiglia come nella società, ma sempre emancipandosi come persone. 

Dopo tanto lavoro, avevano quindi sognato di godere di una vecchiaia serena, confidavano in cuor loro di morire nel proprio letto. Non era andata così.
Saturi della troppa vita regalata da una Scienza tesa solo a prolungare comunque la vita, si sono ritrovati sempre più carichi di anni, di malattie, di protesi, non autosufficienti, affidati all’evoluzione di tecnologie e terapie farmacologiche.

Per non gravare sui familiari travolti dalla corrente di una società in costante affanno, si erano così rassegnati ad abbandonare le loro case, i loro oggetti simbolici, intristendosi ma comunque adattandosi alle nuove sistemazioni e a dipendere dalla cura degli altri.

Alla ricerca ogni volta di una parola, un sorriso, una carezza. Attendendo una visita, almeno nelle festività. In solitudine, trascorrevano il tempo a ricordare, a raccontare dei tempi andati, ogni giorno, sgranando magari il rosario, pregando per i figli, augurandosi che, nella bufera del virus, stessero tutti bene. Invisibili, con passi felpati se ne sarebbero presto andati, avrebbero tolto il disturbo. Ma così no, questo a loro non lo si doveva proprio fare.
Corinna Albolino

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