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Un immenso Enrico Guarneri incanta il pubblico di “Catonateatro”

Un immenso Enrico Guarneri
incanta il pubblico di "Catonateatro"

Eccelsa interpretazione di "Mastro Don Gesualdo" offerta dall'attore siciliano che per la seconda volta nella stessa stagione calca il palco dell'arena "Alberto Neri" riscuotendo un enorme successo 

«Uno sguardo di vetro che si specchia dentro un cuore vuoto». Questa è stata una delle battute iniziali dello spettacolo andato in scena all'arena "Alberto Neri" in cui è sintetizzata la grandezza del romanzo di Giovanni Verga.
Il "Mastro Don Gesualdo" interpretato dal bravissimo Enrico Guarneri è stato apprezzato dalla platea che ha tributato all'intero cast una pioggia di applausi.
Guglielmo Ferro, regista della rappresentazione, ha impostato tutto il romanzo (rielaborato drammaturgicamente da Micaela Miano) come una serie di ricordi che tornavano alla mente di Gesualdo Motta, ormai in fin di vita attanagliato da un tumore allo stomaco. 
Davanti agli occhi degli spettatori si dipanano così le tappe importanti della vita del muratore divenuto abbiente.
La sua ascesa economica, l'amore incondizionato della serva Diodata nei suo confronti, e il matrimonio combinato per ricevere il titolo nobiliare con Bianca Trao.
«Ognuno nasce col proprio destino» ripete Guarneri nei panni di Gesualdo quando il torbido Canonico Lupi (interpretato magistralmente da Rosario Minardi) illustra la convenienza delle nozze con la nobile Bianca.
Quest'ultima decaduta e "usurpata" dal cugino Ninì Rubiera accettò a malincuore il matrimonio combinato con Mastro Don Gesualdo anche perché ad alimentare questa unione c'era anche la Baronessa Rubiera zia di Bianca e madre del suo amante, che intravedeva una doppia convenienza in questa unione: da un lato suo figlio ne usciva pulito, dall'altro il suo patrimonio non veniva "toccato" da una nobile senza dote. 
Divenuto "Don" l'ex muratore siede al tavolo con i "signori" per l'asta che stabilisce la spartizione delle terre comunali, ed è qui che prende corpo il disprezzo di una classe sociale che continua a considerarlo solamente un villano arricchito nonostante il titolo acquisito. 
Ma Gesualdo Motta va avanti accumulando denari e "roba" (possedimenti terrieri) trascurando gli affetti, moglie e figlia (della quale non è neanche il padre naturale) in particolare. 
«Il pesco non s'innesta sull'ulivo», altra frase verghiana che non lascia spazio ad interpretazioni ma che presenta una realtà ancorata alle nette divisioni insuperabili tra classi. 
Frase che Gesualdo dice alla figlia Isabella sul letto di morte, e che dà il via ad una serie di confessioni e riflessioni su tutte le sue scelte e sulle persone importanti della sua vita. 
Pensa alla moglie Binaca, morta di tisi,  e alla sua costante infelicità durante il loro matrimonio e pensa a Diodata (suo unico vero amore) che gli è stata accanto per tutta la vita «fedele come un cane» e che gli ha dato due figli legittimi ma mai riconosciuti, ai quali però lascerà due "aridi" terreni.  
Gesualdo Motta voleva essere l'esempio del "successo", di chi "ce l'aveva fatta" nonostante la sua condizione di partenza, nonostante i pregiudizi nei suoi confronti e le cattiverie ricevute; voleva essere il "padrone" di tutta la contea per dimostrare ai nobili di sangue che dovevano arrendersi all'evidenza e considerarlo non solo loro pari ma anche a loro superiore.
Voleva molte cose, e molte cose (materiali) le ha ottenute, ma è morto solo e infelice immerso da un mare di ripianti. 
Il cast completo al termine dell'esibizione ha omaggiato, ricordando la sua bravura e la sua professionalità, la costumista Carmen Ragonese scomparsa di recente, il cui estro è stato apprezzato in entrambi gli spettacoli portati in scena all'arena "Alberto Neri" dalla compagnia guidata da Guarneri. 

a.c./Labecom 
Reggio Calabria, 19.08.2013 


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Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
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