Durante il picco di inizio luglio dell'emergenza rifiuti di Roma, una delle soluzioni considerate dalla politica è stata quella di...
Durante il picco di inizio luglio dell'emergenza rifiuti di Roma, una delle soluzioni considerate dalla politica è stata quella di spedire in Svezia la spazzatura che l'Ama (Azienda municipale ambiente) non è in grado smaltire. Nell'attesa di dotare l'area metropolitana di un sistema di impianti di compostaggio per gestire in maniera autonoma i rifiuti, l'idea era sottoscrivere un accordo di due o tre anni per utilizzare quello creato nello Stato svedese. Da diverso tempo, infatti, la Svezia importa dall'estero la spazzatura per mantenere in attività i suoi 34 termovalorizzatori e produrre energia elettrica e la maggior parte del riscaldamento per le abitazioni.
Con le moderne tecnologie, quattro tonnellate di spazzatura sono in grado di sprigionare l'energia di una tonnellata di petrolio, 1,5 tonnellate di carbone o cinque di legno. Gli inceneritori di seconda generazione, anche noti come termovalorizzatori, oltre a bruciare i rifiuti recuperano il calore sviluppato durante la combustione e lo utilizzano per produrre vaporeUna volta convogliato, il vapore viene sfruttato per produrre energia elettrica o calore tramite il teleriscaldamento.
I 34 impianti di cui si è dotata la Svezia sono in grado di fornire elettricità a 680mila abitazioni e di riscaldarne 1,3 milioni durante l'inverno. Il Paese copre l'83% del suo fabbisogno energetico con il nucleare e l'idroelettrico e un altro 7% con l'eolico, facendo dei termovalorizzatori una voce marginale. Sono invece fondamentali per il riscaldamento: a partire dagli anni Cinquanta, il governo di Stoccolma ha investito nella costruzione di una rete che convogliasse l'acqua calda prodotta con lo smaltimento dei rifiuti direttamente nelle abitazioni e nelle industrie. Questa ricchezza di alternative ha permesso alla Svezia di essere una delle prime nazioni al mondo a introdurre nel 1991 una tassa sul carbone per disincentivarne l'utilizzo da parte delle imprese.
Il governo svedese ha speso anni e risorse anche per sensibilizzare i suoi cittadini alla raccolta dei rifiuti. Se nel 1975 gli svedesi riciclavano in media 18 chili di rifiuti all'anno e ne mandavano in discarica quasi 200, nel 2016 il rapporto si è ribaltato con 161 chili riciclati e appena 3 chili non riutilizzati. Oggi in Svezia solo l'1% della spazzatura prende ancora la via della discarica (era il 22% nel 2001), mentre il 93% del vetro, il 47% della plastica e l'82% della carta vengono lavorati per essere di nuovo utilizzati. Queste percentuali hanno già superato gli obiettivi del governo per il 2020, fissati rispettivamente a 70%, 30% e 65%. In totale viene recuperato il 47% dei rifiuti prodotti in un anno dal Paese, compresi metallo, giornali, batterie e rifiuti elettronici, mentre un altro 52% (tra cui rottami metallici, circuiti, e rifiuti agricoli) viene utilizzato nel programma Waste to energy (Wte). Questo risultato è stato reso possibile anche grazie alla decisione nei primi anni Duemila di vietare lo stoccaggio nelle discariche dei rifiuti organici e combustibili, per favorirne la raccolta.
Oggi la Svezia non ha solo risolto il problema della gestione del rifiuti interni, ma può permettersi di importarli dall'estero: nel solo 2016 ne ha smaltiti quasi 2,3 milioni di tonnellate, in particolare di Gran Bretagna, Irlanda e Norvegia. Anche se la Danimarca offre lo stesso servizio, Stoccolma è riuscita a imporsi per il suo prezzo competitivo di 40 euro a tonnellata, molto meno salato delle cifre previste dalla tassa sulle discariche imposta agli Stati membri dall'Unione europea. La Svezia stima di guadagnare 100 milioni di euro solo nel 2020, oltre a evitare l'emissione di quasi 476mila tonnellate di diossido di carbonio: "Bruciando una tonnellata di rifiuti italiani in Svezia, si evita l'emissione di 500 chili di Co2 che avrebbe rilasciato se stoccata in una discarica in Italia", sostiene Johan Sundberg, consulente in energia e gestione dei rifiuti dell'organizzazione Profu.
Mentre nel mondo la classica discarica è ancora il metodo più utilizzato per gestire i due miliardi di tonnellate di spazzatura prodotta ogni anno a livello globale (stimate in 3,4 entro il 2015) e l'Europa è divisa tra i 587 chili pro capite smaltiti dagli impianti di termovalorizzazione della Danimarca e i 104 dell'Italia, la Svezia ha deciso di andare oltre il modello che in molti stanno cercando di imitare. Sono sempre più numerose, infatti, le critiche degli ambientalisti che accusano proprio l'alta percentuale di rifiuti inceneriti per produrre energia, sottraendoli al meccanismo virtuoso del riciclo. Ora che la situazione è sotto controllo, il governo di Stoccolma punta a diventare l'avanguardia nell'economia circolare.
Per Weine Wiqvist, presidente dell'Associazione svedese per la gestione dei rifiuti Avfall Sverige, questo significa "motivare e guidare cittadini e consumatori a modificare le loro abitudini in modo da renderle più sostenibili, ma anche creare le condizioni perché decidano di farlo. Dobbiamo trasformare tutto, dalla produzione, al consumo, all'uso dei prodotti e anche il modo di riciclarli. Nell'economia circolare i prodotti vengono utilizzati più a lungo e in modo più intelligente”.
Questa sfida è vista con ottimismo dalle istituzioni svedesi, dato che i cittadini hanno sempre risposto positivamente alle tematiche ambientali: ad esempio, ogni anno raccolgono quasi due miliardi di bottiglie di plastica e lattine in alluminio, anche grazie all'incentivo in denaro previsto rispettivamente dal 1994 e dal 1984. Consegnare questo tipo di rifiuti a uno dei punti del sistema di raccolta pant è un'abitudine tanto diffusa tra gli svedesi da aver fatto coniare il verbo panta. Oggi Germania, Danimarca e Norvegia hanno previsto soluzioni simili, imitate a metà luglio anche dalla città di Roma, dove sarà possibile pagare il biglietto della metropolitana riciclando bottiglie di plastica in apposite macchinette delle stazioni.
Aumentare la percentuale di rifiuti riciclati è fondamentale, ma per Stoccolma la priorità è produrne meno, sfruttando al massimo ogni prodotto, incentivando lo scambio o la riparazione. Nel 2017 il governo ha approvato una riforma del sistema fiscale che ha dimezzato l'Iva sui servizi di riparazione di biciclette, abiti ed elettrodomestici, portandola dal 25 al 12%.
Due anni prima, a Eskilstuna, cittadina di 60mila abitanti a pochi chilometri da Stoccolma, ha aperto il primo centro commerciale in Europa che vende solo oggetti riciclati. Nei suoi 15 negozi vengono raccolti e riparati i vecchi oggetti, mentre quelli irrecuperabili sono portati nel vicino centro di stoccaggio. Nel 2018 i 50 dipendenti di ReTuna hanno accolto migliaia di clienti, tra cui numerosi turisti, per un giro d'affari di un milione di euro.
Il nuovo corso stabilito dalla Svezia, e ribadito anche dalle Nazioni Unite con l'Agenda 2030, mette l'Italia in una situazione di vantaggio rispetto al resto dell'Europa. La nostra classe politica è ancora contrapposta sui fronti favorevoli o contrari alla costruzione di nuovi inceneritori e soprattutto termovalorizzatori: al momento in Italia sono in funzione 41 impianti, contro i 49 del 2012, concentrati per il 63% al Nord.
Secondo il rapporto Ispra 2017 questi sono in grado di smaltire 5,4 milioni di tonnellate di rifiuti l'anno, divisi tra le 28 strutture che producono solo energia elettrica (2,9 milioni di megawatt l'anno) e le 13 di nuova generazione (1,7 milioni di megawatt di elettricità e 2,2 milioni di energia termica). Anche se “il recupero dell’energia elettrica nel periodo 2006-2016, è passato da quasi 2,9 milioni di Mwh, prodotta nel 2006, a oltre 4,5 milioni di Mwh nel 2016”, il nostro sistema non basta per gestire i rifiuti prodotti da un numero di abitanti quasi sei volte superiore rispetto alla Svezia.
La carenza strutturale italiana è senza dubbio un problema nel breve periodo, ma non in un'ottica di sviluppo dell'economia circolare. Il nostro Paese riesce a riciclare il 79% del totale dei suoi rifiuti domestici e industriali (56,4 milioni di tonnellate l'anno), primato che in Europa viene eguagliato solo dalla Germania (72,4). Oltre a riutilizzare il 67% della raccolta differenziata delle abitazioni, l'Italia ha creato filiere all'avanguardia nella rigenerazione dei lubrificanti usati, dove il 99% diventa la base per nuovi oli, nella gestione degli scarti dell'industria tessile e dei rottami in ferro riutilizzati nelle acciaierie o nell'utilizzo dei fanghi di degli impianti di depurazione come fertilizzante agricolo. In totale l'economia circolare coinvolge già 10mila aziende in tutto il Paese, per un giro di affari stimato di 23 miliardi di euro.
L'unica debolezza del sistema, per il momento, è la scarsa capacità del mercato italiano di fare tesoro dei materiali rigenerati: fino a oggi sono stati assorbiti in gran parte dalle economie emergenti dell'Asia, in particolare dalla Cina, ma il recente stop di Pechino alle importazioni rischia di mettere in crisi il meccanismo. Per Antonello Ciotti, presidente del Consorzio di recupero degli imballaggi di plastica Corepla, è una priorità “rafforzare la ricerca e lo sviluppo per creare il mercato finale dei prodotti a base di materiali riciclati. È importantissimo che decolli il cosiddetto green procurement, cioè gli appalti ecologici; anche se sarebbero costrette per legge, le amministrazioni pubbliche fanno fatica a mettere nei capitolati dei bandi di fornitura l’obbligo di materiale riciclato”.
Mentre per anni l'Italia ha guardato alla Svezia come al modello ideale di gestione dei rifiuti, il Paese scandinavo ha capito le potenzialità di quello italiano. Per il suo ennesimo salto verso il futuro dei rifiuti,la Svezia ha deciso di puntare tutto sul paradigma ricicla di più e brucia (molto) di meno, ma soprattutto sul potenziale dell'economia circolare.
Flaminio Spinetti