INTERVISTA AL BRIGANTE MUSOLINO DI DOMENICO NUCERA ABENAVOLI PUBBLICATA SULL'AVANTI IL 19 NOVEMBRE 1900
Un'intervista con Musolino - Roghudi, 29 settembre 1900 (D. Nucera Abenavoli) — Io non conoscevo Musolino se non per nome quando il dodici dello scorso marzo — allora Musolino non aveva acquistato la triste nomea del brigante — cinque giorni dopo ch'egli aveva avuto il conflitto con la forza pubblica in Africo si presentò improvvisamente a me che mi trovavo in campagna.
Entrò e mi disse salutandomi e sorridendo: «Io sono il brigante.» Pareva che volesse dire: voi mi credevate un mostro e invece ecco qua un uomo come gli altri. Gli domandai che volesse ed egli mi pregò di scrivergli una lettera per i giornali allo scopo di giustificarsi dell'uccisione del carabiniere Pietro Ritrovato commessa da lui la mattina dell'otto marzo. Gliela scrissi: e fu la lettera che apparve nella Tribuna del 28 marzo...

Quando gli ebbi scritto la lettera, mi disse della sua stanchezza per le lunghe notti faticosamente vegliate e per l'oppio che gli avevano somministrato. Poi si alzò, prese la lettera e mi ringraziò. Per alcuni mesi in Calabria non si era più sentito parlare di lui. Ma l'annunzio della morte di Francesco Marte avvenuta il 27 agosto nella montagna di Farroghena fece sentire la sua presenza nell'Aspromonte.
Fu allora che mi venne l'idea di fargli pervenire la notizia che desideravo intervistarlo nella qualità di giornalista. Egli aderì.
Cosi, il 10 settembre di buon mattino, accompagnato da una sua guida, partii dal mio paese, e dopo un'ora di cammino — Roghudi è sito sulle radici delle montagne —m'internai tra boschi altissimi. Camminammo tre ore circa lungo un viottolo che mette in comunicazione la piana con i paesi della marina, senza vedere altro che cielo, alberi ed ombre.
Arrivato a un certo punto: « fermatevi» mi disse la guida, e tolto un fazzoletto rosso dalla borsa del suo bugiacco, me ne fasciò la testa. «Camminate, mi soggiunse, questo è il segnale che siete voi ». Piegammo a sinistra attraverso boschi cosi fitti da essere costretti a passare carponi e aprirsi la via con le braccia.
Fatti così un cento metri, udii un fischio senza vedere alcuno. Io ristetti. « Non temete, mi disse la guida, questo fischio annunzia al brigante il vostro arrivo.» Il fischio fu ripetuto altre due volte prima che fossimo arrivati alla macchia dove stava il brigante. A cinquanta metri dalla macchia la guida diede l'annunzio del nostro arrivo con un altro fischio a cui si rispose. Procedemmo ancora; e pervenimmo ad una radura dove a un tratto scorgemmo Musolino e altre due persone che stavano con le armi spianate nella nostra direzione.
« Favorite, mi disse il brigante dopo avermi guardato, tenendo sempre l'arma in quella posizione. Io mi avanzai, sorpassai i compagni del brigante che si erano posti come in una posizione di attenti e mi fermai sin che Musolino non mi ebbe fatto cenno di sedere.
Allora la piccola scorta si mise a riposo mentre Musolino, venendomi incontro con la mano tesa mi disse: « Avete avuto tanta cortesia di venire a salutare il brigante sebbene il debito fosse mio? Ve ne sono grato. Io avrei compiuto il mio dovere, ma mi saprete compatire; la mia posizione che non me lo permette; come state?
Bene, risposi, ma voi siete sofferente: siete stato ammalato? Infatti lo trovavo pallido e dimagrito.
— No, mi rispose; è lo studio. — Come! voi studiate, ma dove sono i libri — Non ho libri, studio per eludere le insidie dei traditori.
— Col terrore che avete fatto spargere chi si fida tradirvi? ,
— Non è per questo che non mi tradiscono e perché io non fo male a nessuno; si trovò Antonio Princi che tradì nel modo più infame l'amicizia, non se ne troverà un altro.
— E come potete sapere chi sono coloro che vi tradiscono? Ammettiamo che io odiassi un individuo; se ve lo designassi come traditore, voi subito lo mandereste all'altro mondo.
— Eh! Musolino non fa il brigante per servire alle vendette dell'uno e dell'altro. Se avessi creduto a tutto quello che mi raccontano, avrei ucciso centinaia di persone — e mi mostrò il suo taccuino; — ma io prima di agire debbo avere prove certe; un uomo non è una pecora e non si deve uccidere alla leggiera. Io sono vendicativo, ma non crudele.
— Però, mi permisi di soggiungere, avete mostrato una certa crudeltà colle vostre vittime.
— Sempre meno di quella che mostrarono costoro contro di me alla Corte di assise. Essi spergiurarono per uccidere un giovane innocente e che non odiavano neppure. Sentite, i dolori della morte, per quanto siano raffinati, non uguagliano quelli di colui che deve passare 21 anni in fondo alle prigioni. In questo alzai gli occhi e gli scorsi sul petto un amuleto.
— "Voi credete ai santi e commettete delitti? gli domandai.
— Li commetto con l'aiuto della Madonna, mi rispose. Non sarò punito all'altro mondo. La Madonna sa ch'io non uccido gl'innocenti. —
Ma il carabiniere Ritrovato non era innocente?
— Quello si, ma io non ne ebbi colpa; si. trattava di pelle con pelle; Fu il suo destino. Di quante vittime feci, per quello, solo sento rimorso, ma non so che fare. Qui tacque un poco, e riprese: — Se avessi voluto massacrare la pubblica forza destinata ad inseguirmi, avrei fatto di queste montagne un ossario; ma ho compassione di tanti poveri giovani che sono esecutori di ordini superiori. Molti di loro hanno un cuore eccellente; io li intesi compiangere la mia disgrazia. Volete che vi dica in quali punti della montagna, in questo momento, si trovano le squadriglie volanti?
E mi fece i nomi dì vari posti. — Quale concetto avete della giustizia che state esercitando?
— Nessuno, rispose. Gl'infami debbono morire; io uccido per ira; uccido perché mi rovinarono, mentre ero innocente. ,
— Davvero?
— Ma se lo confessarono all'ora della morte due di quelli che uccisi! Uno confessò che aveva spergiurato perché i miei nemici gli avevano dato due tomoli di grano; l'altro perché gli avevano dato dieci lire. E poi io fui ferito gravemente da Vincenzo Lovoli la sera del 27 ottobre; ebbi 40 colpi con un rasoio, e credo che quella arma fosse avvelenata, perché si si gonfiarono subito le braccia ed ebbi grandi febbri. Come mai avrei potuto la notte del 29 impugnare un'arma qualsiasi se nella palma della mano avevo riportato una ferita lunga e profonda d'un colpo di rasoio? . E mi mostrava la cicatrice. — Fui vittima dei partiti, prosegui; mi rovinò il notaio Francesco Fava, allora sindaco.
— Ma il suo certificato, gli osservai, era giusto, perché voi avevate riportalo diverse condanne prima di quel processo.
— Non parlo solo del certificalo. Egli influì sui testimoni. Poi, io ero mal visto dall'autorità, come tanti altri, perché il signor Fava aveva denuncialo tutti quelli che non erano del suo partito, come facenti parte di un'associazione a delinquere che in Santo Stefano non ebbe mai ombra di esistenza, tanto vero che un procedimento penale ci aveva mandati tutti assolti.
Una ingiustizia manifesta me la fece il presidente Nazzari, che non mi ammise l'unico testimonio, che avrebbe deposto che il mio berretto, di cui trovavasi in possesso lo Zoccoli, mi era caduto nella sera del 27.e non in quella del 29. Tutti contribuirono ciascuno la sua parte a rendermi feroce. Ma io sono leale. Io avrei ucciso sempre Vincenzo Zoccoli, ma in questo caso sarei andato volentieri in galera, senza fare altre vittime. La colpa è loro.
— E ora che sperate?
— Nulla. Vendicarmi di tutti quelli che mi fecero del male, e poi rimanere ucciso: questo io voglio.
— Che cosa intendete fare col brigantaggio che organizzate? chiesi alludendo ai suoi compagni.
— I briganti sono uomini coraggiosi che vendicano le ingiustizie. I briganti debbono essere omicidi si, ma onorati.
— Onorati? diss'io. Badate che del brigantaggio in Calabria è rimasto un pessimo nome.
— Si, ma quelli erano ladri, non erano briganti. Difatti, da venti mesi che io sono nelle montagne non accaddero più furti (e questo é vero). Guai a chi rubasse e cercasse coprirsi col mio nome!
— E perché credete voi che le popolazioni vi favoriscono?
— E' un errore. Non mi favoreggia nessuno. Soltanto nessuno mi fa male, purché non fo male a nessuno. Invece mi compiangono tutti, perché sanno che fui condannato innocente. E non ho bisogno di nessuno, vivo del mio. E' morta una mia zia, Carmela Filastò, e mi lasciò una rispettabile fortuna; con quella mi posso mantenere molto tempo.
Poco dopo mi accomiatai. Egli mi strinse la mano alquanto commosso e mi disse. — Se non avrò più il bene di vedervi, ricordatevi che il brigante Musolino è vendicativo, ma uomo generoso.
Accompagnato dalla guida, riattraversai frettolosamente i boschi. Ero stanco, più di stanchezza morale che di stanchezza fisica. Lo spettacolo di quell'anima travolta in un turbine di sangue mi aveva fatto pensoso e triste.
Articolo che puoi trovare su www.roccafortedelgreco.net curato dal Prof. Francesco Palamara.
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