Quando Renzo e Lucia si ritrovarono al termine della peste

CARLO PICCA “Chi ci ha custodito finora, ci custodirà anche adesso” Nel ventottesimo capitolo de I Promessi Sposi, Manzoni ci raccon...

CARLO PICCA

“Chi ci ha custodito finora, ci custodirà anche adesso”
Nel ventottesimo capitolo de I Promessi Sposi, Manzoni ci racconta del lazzaretto. Infatti è proprio in questa parte della sua opera più celebre ed ambientata tra il 1628 ed il 1630 in Lombardia durante il dominio spagnolo, che viene descritto con moltissima precisione questo luogo dedito all'accoglienza degli appestati.

Facendo riferimento a fatti accaduti e personaggi realmente esistiti, non a caso questo capolavoro letterario fu il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana, il quale fu scritto a più riprese e pubblicato nella versione definitiva fra il 1840 e il 1842. In questo capitolo per l'appunto si evince che, dopo aver compreso il carattere epidemico della peste, considerata inizialmente un castigo divino, si studiò con logica e determinazione una soluzione che potesse evitare la rapida diffusione del contagio.

E successivamente a vari progetti mai attuati, si diede finalmente avvio, nel 1488, alla costruzione di un luogo di quarantena. Una vera e propria cittadella autonoma circoscritta da un fossato d'acqua: il lazzaretto milanese. Questo non era altro quindi che un vasto recinto quadrato, edificato e suddiviso in duecentoottantotto stanze, destinate alla cura e all'isolamento degli appestati.

E proprio all'interno di questa “città della cura” vengono descritti momenti stupendi, nel capitolo trentasei precisamente. In pagine che danno il senso della filosofia manzoniana, quella secondo la quale, le dure prove della vita, avvengono per temprare il carattere e dare poi una riconoscenza alta e sublime a chi, non smette di credere in valori che elevano lo spirito a grandi emozioni, riflessioni ed imprese.

Qui Renzo, infatti, in questa parte del romanzo storico manzoniano è descritto magistralmente al lettore come alla continua e forsennata ricerca dell'amata Lucia fino a che non ne sente la voce, e viene invaso da una felicità che gli fa mancare il fiato ed il sostegno delle gambe.Quando cioè viene narrato il momento in cui nel lazzaretto di Milano, da una delle capanne che ospitavano le donne malate gli giunge all'orecchio la voce della sua tanto agognata amante e promessa sposa.

Qui la scrittura trabocca di dolcezza, perche Renzo in animo suo, ascoltando quella voce e riconoscendola fra mille, capisce che ha ritrovato Lucia, e istantaneamente dimentica tutte le pene passate, ogni fatica recente e turbamento, tutt'altro, è come se invece mettesse le ali ai piedi, pervaso da una gioia inaudita che lo ripagava di ogni affanno.
- [...] e stando così col capo appoggiato alla parete di paglia d'una delle capanne, gli vien da quella all'orecchio una voce... Oh cielo! è possibile? Tutta la sua anima è in quell'orecchio: la respirazione è sospesa... Sì! sì! è quella voce!... - Paura di che? - diceva quella voce soave: - abbiam passato ben altro che un temporale. Chi ci ha custodite finora, ci custodirà anche adesso.

Se Renzo non cacciò un urlo, non fu per timore di farsi scorgere, fu perché non n'ebbe il fiato. Gli mancaron le ginocchia, gli s'appannò la vista; ma fu un primo momento; al secondo, era ritto, più desto, più vigoroso di prima; in tre salti girò la capanna, fu sull'uscio, vide colei che aveva parlato, la vide levata, chinata sopra un lettuccio. Si volta essa al rumore; guarda, crede di travedere, di sognare; guarda più attenta, e grida: - oh Signor benedetto!
- Lucia! V'ho trovata! Vi trovo! Siete proprio voi! siete viva! Esclamò Renzo, avanzandosi, tutto tremante.

Così il temporale che il narratore ha lasciato addensarsi e covare per tutta la scena del lazzaretto, ma direi per tutto il romanzo, si dissolve in maniera catartica al momento buono. Perché al trovarsela davanti, non è solo Renzo a gioire ma l'immaginazione di ogni lettore. Descrizioni intense e poetiche come del resto, senza dubbio, lo sono anche quelle sullo scambio di parole fra Lucia e Renzo dei giorni dopo, scritte in altre pagine del capolavoro romantico italiano, nel capitolo trentotto, quando questa rientrata dal lazzaretto a casa sua, conversa finalmente tranquilla con Renzo per la prima volta dopo mille traversie, pagine che riempiono ancora di candore chi le legge.

- [...] vi saluto: come state? - disse, a occhi bassi, e senza scomporsi. e non crediate che Renzo trovasse quel fare troppo asciutto, e se l'avesse per male. prese benissimo la cosa per il suo verso; e, come, tra gente educata, si sa far la tara ai complimenti, così lui intendeva bene che quelle parole non esprimevan tutto ciò che passava nel cuore di Lucia. Del resto, era facile accorgersi che aveva due maniere di pronunziarle: una per Renzo, e un'altra per tutta la gente che potesse conoscere. - sto bene quando vi vedo - rispose il giovine, con una frase vecchia, ma che avrebbe inventata lui, in quel momento.

Pagine circa un incontro tanto atteso, le quali ci raccontano che nonostante le difficoltà, la coerenza dei valori alti, vola sugli eventi con un disegno quasi impossibile a comprendersi, quanto nel cuore come nell'anima, e a tutti gli uomini spetta il compito di accoglierla e di concretizzare la possibilità di trovarla e viverla sempre, come una quiete che diviene sempre migliore dopo ogni maledetta tempesta.

Carlo Picca 
Libriantichionline

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