di Maurizio Porro 27 mag 2021 La ballerina milanese aveva 84 anni: figlia di un tramviere, aveva conquistato tutti i più grandi teat...
di Maurizio Porro
27 mag 2021
La ballerina milanese aveva 84 anni: figlia di un tramviere, aveva conquistato tutti i più grandi teatri del mondo con la sua grazia, interpretando oltre 200 personaggi
Carla Fracci, 84 anni, è morta oggi a Milano. Negli ultimi giorni c’era stata grande apprensione per le sue condizioni di salute. Fracci è stata una delle ballerine più famose di tutto mondo, orgoglio milanese della Scala. Nata nel 1936 a Milano, nel corso della sua carriera si è esibita con i più grandi, da Nureyev a Baryshnikov.
La Fracci, Carla, Carlina o Fraccina, come la chiamarono tutti nel corso del tempo per la dolcezza intrinseca della sua espressione, è stata per tutti il simbolo della Scala, tra le figlie speciali di Milano la cui fama si è sparsa per il mondo che l’ha accolta nei sui migliori teatri gettando ai suoi piedi milioni di fiori. «Prendee anca questa questa, la ghà un bel faccin» disse nel 1946 la direttrice della scuola di danza, rendendo felice in primis Fracci Luigi, il manovratore che col suo tram linea 1 passava tutti i giorni davanti al Piermarini facendo scorta di speranza per la figlia. Amava il tango, il Luigi, e attraverso un amico di famiglia, fa entrare la sua Carlina, nata il 20 agosto 1936, alla scuola di ballo, dove inizia la vera fatica, ore giorni anni di dedizione assoluta a un’arte che deve essere rinvigorita ogni mattina.
Tanta danza, la sbarra,ma anche un po’ di aritmetica e latino e alcune apparizioni indimenticabili, come Margot Fonteyn, che diventa il suo idolo: saranno insieme in un Romeo e Giulietta a New York, una agli inizi e l’altra in finale di partita. Diplomata nel ’54, l’anno dopo è chiamata a far parte del corpo di ballo scaligero, balla in Le spectre de la rose con Mario Pistoni, proprio mentre la Callas debutta in Sonnambula con Visconti e Berstein. E, come accade nelle migliori occasioni, dopo il «passo d’addio» avviene il colpo di fortuna. Alla Scala è in scena Cenerentola ma Violette Verdy, ètoile dell’Opera di Parigi, rinuncia ad alcune recite e la Fracci la sostituisce in un debutto trionfale il 31 dicembre ’55. Un Capodanno che non si scorda mai. E poco dopo Massine le affida Mario e il mago di Mannino e lo stesso Visconti.
Inizia così una luminosissima carriera che la fede al fianco dei migliori talenti del ballo classico: nel ’57 un trionfo al Festival di Nervi, nel 58 diventa prima ballerina della Scala, incontra John Cranko il coreografo che la vuole protagonista del suo Romeo e Giulietta nel verde dell’Isola di San Giorgio a Venezia, mentre la prima volta di Giselle è a Londra nel ’59, ma con repliche poi in tutto il mondo. Eroina del balletto, la Carlina non rimpiange più, come dicevano, i prati della periferia milanese alla Testori, ma insegue i festi della diva divina, nel luccichio dorato di teatri meravigliosi dal cui cielo senza nuvole piovono fiori e ovazioni. Balla in memorabili, aeree serate, con Nureyev, il suo partner d’eccezione, Miskovich, Vassiliev. Lei si presenta al pubblico con un look di firmata, estrema semplicità: pizzi, veli, abiti, scarpe e calze bianchi, capelli raccolti da preziosi pettinini e collo ornato da collane ambrate e di corallo.
Intanto debutta anche la sua vita privata: l’11 luglio 1964 a Firenze sposa Beppe Menegatti, aiuto regista di Visconti e sei anni dopo ecco Francesco. Nella Spoleto di allora, con Gades, nasce una coreografia su musiche di Ravel e la Fracci apre la porta al mito dei veli che la rendono invisibile e impalpabile, «più leggera dell’aria e più lieve di un sospiro». La sua collaborazione con American Ballet Theatre (partner Erik Bruhn) è del ’74, mentre la Carlina diventerà direttrice del corpo di ballo di Napoli, dell’Arena di Verona dal ’95 al ‘97, della Scala, poi Roma e ancora la Scala, sempre con contorno di polemiche, ma Milano la elegge membro dell’Accademia delle belle arti di Brera. Le sfide della Fracci sono molte, spesso in collaborazione col marito che le fa da global manager, intuendone e sfruttandone ogni possibilità e nel 2002 la Carlina veste i panni di Amleto all’Opera di Roma in un ensemble di soli uomini.
La carriera di una grande ètoile è fatta dalla somma di indimenticabili serate d’onore in luoghi privilegiati del mondo e anche dalla memoria, un lungo filo di equilibrio sotto le luci dei riflettori, alla fine dei quali arrivano non solo le acclamazioni ma i distintivi di Cavaliere, Commendatore, Grand’ufficiale della repubblica. Carla è un mito, nato così, costante, semplicemente, dalla fatica quotidiana. Il poeta Montale la spiega così: «Carla Fracci è Giulietta…Carla, eterna fanciulla danzante». Il suo repertorio si allarga sempre di più: i tre classici di Ciakovskji (Lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci), i tre di Prokofiev (Romeo e Giulietta, Cenerentola, Il fiore di pietra), oltre grandi titoli romantici e tardo romantici (La Sylphide, La gitana, La Pèri), Coppelia, il grande ballo Excelsior che nel ’60 Filippo Crivelli rilancia in uno spettacolo storico.
E ci sono i balletti di Diaghileve quelli di Roland Petit e di Maurice Béjart, lei è sempre contemporanea ai suoi autori. Se il più lungo sodalizio è stato con Nureyev, con serate scaligere emozionanti, ci sono poi pure Babilèe, Baryshnikov, Bortoluzzi, fino ai giovani Ezralow, Iancu, Bolle e Murru, il filo che lei fa scorrere alla ricerca di un tempo perduto e ritrovato. La Fracci recita e naturalmente è Shakespeare: Ariel nella Tempesta, Titania nel Sogno di una notte di mezza estate, infine partecipa al film di Herbert Ross Nijinski e recita la Strepponi nello sceneggiato nazional popolare su Verdi di Castellani, riprende le divine nel film Le ballerine di Ustinov. E partecipa alla Storia vera della signora delle camelie di Bolognini, diventando la divina per eccellenza accanto all’amica Valentina Cortese, di cui non mancava mai un compleanno, in un tripudio liberty.
Ma la sua fama, la sua perfezione, la sua alata leggenda, non le impediscono decisioni fuori dal clichè, come il fatto stesso di avere un figlio, tradendo l’etereo mondo dei riflettori e dei passi a due. Lascia il ballo della Scala in nome della pluralità dell’espressione, va ad esibirsi sotto i tendoni dei teatri di periferia (scuola Paolo Grassi), si appella al presidente Napolitano nel 2012 perché salvi le scuole e i corpi di ballo in Italia. Muti, in nome della musicalità, la sceglie per molti Sant’Ambrogio scaligeri, perché è lei la Sarah Bernhardt della danza. Coglie il testimone di molte donne per sempre moderne e infelici, Gelsomina, Medea, Mila, Francesca da Rimini, la Zelda Fitzgerald. Quella piccolina in cui molti non credevano, danza l’Ave Maria di Schubert, si fa erede della Duncan, è un mito le cui colonne sono saldamente piantate nella terra nebbiosa lombarda: «Nel nostro lavoro – diceva – bisogna essere sempre nuovi e sempre rimettersi in discussione».
Dopo aver consumato migliaia di scarpine da ballo, le scarpette rosse del film amatissimo di Powell e Pressburger, aver percorso chilometri di palcoscenico, aver vinto tutti i premi possibili ovunque nel mondo, la Fracci fino all’ultimo ha sempre avuto voglia di rimettersi in gioco: è una forma d’arte esigente, ricordava, ma poi in palcoscenico si dimentica tutto. Poche settimane fa aveva partecipato alla docuserie in 12 puntate Corpo di ballo, sul dietro le quinte del balletto della Scala dopo il lockdown, prendendo a emblema la preparazione di Giselle, il più romantico dei balletti, uno dei suoi tanti cavalli di battaglia. Perché la Fracci nella sua carriera, oltre 65 anni, ha portato in scena oltre 200 personaggi come racconta in un’intima autobiografia che parte dalle nebbie padane.
Corriere della Sera