Al mio paese si dice falso come il due di denari.
C’era una volta il giornalismo, quello vero, fatto di fatti, di inchieste, di analisi obiettive. E poi c’è quello che vediamo e ascoltiamo, un esercizio di ipocrisia e strumentalizzazione che rasenta il grottesco. Un servizio che si presenta come una disamina imparziale, ma che in realtà ha un unico scopo: colpire, screditare e sminuire l’Amministrazione Falcomatà con argomentazioni traballanti e contraddittorie.
Si parte con la solita narrazione: la cerimonia di avvio dei lavori per il Museo del Mare viene ridicolizzata, descritta con toni sprezzanti, come se un atto simbolico – quello della posa della prima pietra – fosse un’azione priva di significato. Eppure, nel passato, non si è mai visto lo stesso zelo critico quando si celebravano eventi simili sotto altre amministrazioni. Due pesi e due misure, dunque, ma questa volta giocati con maestria da chi vorrebbe accreditarsi come paladino dell’obiettività.
A proposito di contraddizioni: l’epigrafe del Palazzo della Cultura viene difesa con veemenza, perché – si dice – non era un’autocelebrazione. E allora perché l’attacco gratuito all’attuale sindaco per un’iniziativa che finalmente avvia un’opera pubblica attesa da anni? Perché si sorvola sugli innumerevoli eventi del passato e anche recenti che avrebbero meritato la stessa indignazione? Perché il giornalismo, quando torna utile a certi ambienti, si trasforma in un tribunale a senso unico?
E poi, ciliegina sulla torta: il Museo del Mare, progetto ideato da Giuseppe Scopelliti, viene finalmente realizzato dall’Amministrazione Giuseppe Falcomatà. Il classico gioco della nostalgia selettiva, che ignora volutamente il valore di un’opera che finalmente prende vita dopo anni di attesa.
Il finale, poi, è pura fiction: la posa della pietra inaugurale viene descritta con toni apocalittici, arrivando a insinuare che sotto di essa sia sepolta la città, affossata da un’Amministrazione che “nessuno rimpiangerà”. Un’immagine volutamente drammatica, forzata, priva di ogni fondamento.
Ma la domanda vera è un’altra: chi è davvero libero in questa città? Chi ha il coraggio di riconoscere il valore delle cose indipendentemente da chi le realizza? E chi, invece, continua a scrivere con la penna dell’opportunismo, con la nostalgia di un passato che – a ben vedere – non merita alcuna mitizzazione? A ognuno la sua risposta. Noi, nel frattempo, continuiamo a chiamare le cose con il loro nome.
Luigi Palamara
Reggio Calabria 24 febbraio 2025
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