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Quando la ’ndrangheta sussurra e lo Stato tace

Quando la ’ndrangheta sussurra e lo Stato tace

Il patto di sangue che ha conquistato il silenzio e la finanza globale
Ediroriale di Luigi Palamara

In una società sempre più affollata di parole e sempre più povera di significati, la ’ndrangheta ha scelto la strategia più efficace: il silenzio.

Non urla come la Camorra, non ostenta come Cosa Nostra. Sussurra. E vince.

È diventata la mafia più potente e invisibile del mondo.
Con radici nei santuari dell’Aspromonte e rami che si estendono dai porti di Gioia Tauro fino alle banche europee, la ’ndrangheta oggi è una multinazionale del crimine. E, come ogni multinazionale, ha diversificato i suoi affari: narcotraffico, appalti pubblici, energia rinnovabile, criptovalute, finanza verde.

Ma soprattutto: consenso. Territoriale. Familiare. Silenzioso.

Una mafia che ci somiglia troppo

La sua forza non è nei kalashnikov, ma nel sangue. Nei vincoli di famiglia, nei matrimoni strategici, nell’omertà tramandata come valore.
Chi collabora con la giustizia non tradisce un’organizzazione, ma rinnega una madre, un fratello, un Dio.
La ’ndrangheta, in questo, è più religione che crimine. Più sistema culturale che semplice gang.

E noi, Stato civile, società libera, borghesia colta, ci siamo girati dall’altra parte.
Ci siamo lasciati sedurre dalla sua discrezione.
Abbiamo accettato che entrasse nei consigli comunali, nelle imprese del Nord, nei cantieri del PNRR.
In cambio ci ha dato efficienza, denaro e falsa stabilità.

La criminalità ha riempito lo spazio che la politica e la cultura hanno lasciato vuoto.
La ’ndrangheta è il risultato della perdita dei legami autentici: dove non c’è più comunità, affetto, fiducia, arriva il bisogno di protezione.
E loro la offrono. Con regole ferree, con l’apparenza del rispetto.

Il volto che non vogliamo vedere

L’inchiesta Rinascita-Scott, 330 arresti.
I processi Aemilia, Quinta Bolgia, Turòs.
Le infiltrazioni nei parchi eolici della Calabria e dell’Emilia, le mani sui cantieri pubblici, l’interesse per le criptovalute e i prestiti alle imprese in crisi.
I figli dei boss che crescono con le mani pulite e le menti ben allenate alla contabilità.

La ‘ndrangheta oggi si presenta in abito blu, parla un ottimo italiano, e ha uno studio a due passi dal Duomo di Milano.
È l’Italia borghese che ha normalizzato il crimine.
Che firma appalti, va in televisione, e non chiede da dove arrivano i capitali.
Basta che arrivino.

Un presente tossico, un futuro ancora aperto

Il rischio non è solo l’espansione criminale.
Il vero pericolo è la colonizzazione morale.

Che cosa insegna oggi la ’ndrangheta ai giovani delle periferie?
Che la collusione vince sulla giustizia.
Che il potere si eredita, non si conquista.
Che il rispetto si compra, non si merita.

E se non invertiamo la rotta, sarà questo il futuro.
Una società dove la mafia non si combatte perché è diventata il linguaggio stesso del potere.
Una società dove l’illegalità è normale, purché elegante.
Dove si vive senza chiedere, e si muore senza parlare.

La risposta possibile

Eppure, non tutto è perduto.
Non servono eroi, ma uomini normali che fanno il proprio dovere:
– Magistrati che resistono.
– Giornalisti che raccontano.
– Insegnanti che seminano pensiero.
– Sindaci che si oppongono, anche da soli.

In questa direzione si inserisce l’appello del Procuratore Aggiunto della DDA di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che ha recentemente rivolto un messaggio potente e necessario al mondo dell’informazione:

 «Non possiamo permettere che si abbassi la guardia. La 'ndrangheta si evolve, muta pelle, si fa sistema, si infiltra nei tessuti sani della società. Ma il pericolo più grande è il silenzio. Se si smette di raccontarla, lei vince».

«Il giornalismo libero – ha continuato Lombardo – è un presidio essenziale di democrazia. Senza una narrazione viva, costante, rigorosa, la 'ndrangheta si rafforza nella zona grigia. È lì che costruisce consenso e potere».

«Noi continueremo a fare il nostro lavoro nei tribunali. Ma non possiamo essere soli. Abbiamo bisogno che i giornalisti continuino a raccontare la verità, anche quando fa paura».

Un appello che suona come un allarme, ma anche come una chiamata alla responsabilità.
Perché la lotta alla ’ndrangheta si gioca nella qualità della nostra convivenza.
Nel rigore della legge, sì. Ma anche nella forza dell’esempio.
Nel coraggio di dire no, anche quando tutti tacciono.
Nel racconto dei fatti, anche quando sembrano troppo oscuri da guardare.

La ndrangheta è forte perché conosce l’anima umana.
La si può sconfiggere solo se torniamo a conoscere la nostra.

Luigi Palamara

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