VILLA SAN GIOVANNI. Il respingimento dei più di duecento siciliani rimasti bloccati per giorni di fronte agli imbarchi per Messina è l’inacc...
VILLA SAN GIOVANNI. Il respingimento dei più di duecento siciliani rimasti bloccati per giorni di fronte agli imbarchi per Messina è l’inaccettabile esempio di come si stiano scaricando i costi sociali di questa epidemia solo ed esclusivamente sugli ultimi. È impensabile e inaccettabile che si imponga indiscriminatamente alla gente di rimanere nel Comune in cui è stata sorpresa dal decreto senza immaginare né meccanismi e strutture di assistenza per chi lontano da casa non abbia mezzi per sostenersi, né per rientrare in sicurezza nel territorio da cui proviene. Non si tratta di una disattenzione, ma lo specchio di una politica di gestione dell’emergenza a dir poco isterica, che ha rincorso gli eventi senza puntare sulla prevenzione, come dimostra il risibile numero di tamponi che – come denunciato dai maggiori infettivologi italiani – ha messo a rischio anche i medici in prima linea nelle corsie, trasformate in giganteschi focolai.
Nelle ultime 36 ore, più di 200 persone, fra cui bambini, anziani, donne in avanzato stato di gravidanza sono rimaste bloccate sotto la pioggia, senza servizi né possibilità di tutelarsi, in attesa di imbarcarsi a causa delle assurde proteste del sindaco di Messina.
E se in nottata un centinaio sono riusciti a traghettare, altrettanti attendono ancora di poter tornare a casa.
Quanto avvenuto a Villa San Giovanni è lo specchio della mancanza di una politica di prevenzione e gestione dell’emergenza che non si può che constatare a tutti i livelli, dal governo ai piccoli amministratori locali.
In questo vuoto politico e organizzativo, nella corsa a coltivare il proprio piccolo orticello elettorale, figure come quelle del sindaco di Messina, Cateno De Luca, cercano gloria e fama mostrando pugno duro contro la propria stessa gente, “colpevole” solo di essersi fatta sorprendere fuori provincia dalle ultime restrizioni. Per altro, non si può non notare che l’unico risultato sia stato creare assembramenti di fatto, mettendo a rischio un intero territorio.
Ma questo non è l’ultimo atto di una sequela di dichiarazioni e provvedimenti insensati, al pari di quelli che hanno portato a ridurre a solo due navi, assolutamente insufficienti per l’esercito di pendolari che ogni giorno attraversa lo Stretto per motivi di lavoro, il servizio di attraversamento. Solo grazie alle proteste di medici, infermieri, sindacati di polizia è stata aggiunta qualche corsa.
Ma proprio mentre si ragionava su come tutelare la sicurezza di lavoratori ancora in servizio perché prestano servizi essenziali, le nuove iniziative del sindaco De Luca hanno fatto precipitare una situazione di per sé complicata. A questo si aggiunga la surreale proposta degli otto deputati dell’Ars, che hanno proposto di trasformare tutta Messina in zona rossa, di fatto impedendo anche ai pendolari di poter continuare a prestare servizi essenziali.
Ancora una volta a pagare il prezzo dell’epidemia sono gli ultimi, dai lavoratori dello Stretto a quelli che a causa dell’epidemia di Covid 19 hanno perso casa e impiego al Nord e senza mezzi per sostenersi stanno cercando di tornare a casa per poter rispettare le prescrizioni di distanziamento e isolamento sociale. Si tratta di una situazione a dir poco grottesca che è anche specchio di una generale (non) gestione di questa difficile stagione, il cui costo è scaricato sugli ultimi, sui singoli.
Mentre enormi centri produttivi continuano ad essere aperti a dispetto dell’ultimo ipocrita decreto persino a un passo da Bergamo, si scatena la caccia all’untore, al runner, al meridionale che ha perso il lavoro ed è costretto a tornare a casa, agli homeless, ai braccianti migranti sfruttati ieri e oggi, vero motore della filiera produttiva essenziale, ma non messi in condizioni di affrontare l’epidemia di Covid19 in sicurezza.
La guerra fra poveri ai tempi del Coronavirus.
Bisogna rimanere lucidi e ragionare di testa e non di pancia. Iniziano ad arrivare segnali pericolosi che devono farci riflettere. I quasi 300 malcapitati ieri ci hanno fatto tornare alle mente le navi delle Ong che venivano tenute fuori dai nostri porti per giorni e giorni, mentre sulla pelle di disperati si consumava un bieco gioco politico ed elettorale.
Oggi, allo stesso modo, si lascia indietro chi non ha o non ha avuto la possibilità di “rimanere a casa” quando sono entrate in vigore le restrizioni.
Alla ricerca di un facile nemico su cui scaricare ansie e paure, si stanno perdendo di vista i veri responsabili di questo disastro da individuare in chi ieri ha lucrato sulla salute della gente trasformando un bene pubblico essenziale come la sanità in un affare privato e oggi pretende di continuare a fatturare a discapito della salute dei lavoratori.
Non serve l’uomo forte che in tanti stanno invocando, né l’esercito nelle strade. Serve comprendere che in questa stagione nessuno si salva da solo e mai come ora è necessario tutelare la salute di tutti e non il profitto economico o politico di pochi. Restare umani di questi tempi non è una scelta, ma un obbligo.