La telefonata con l’alleato, ma il leader non va al vertice a Palazzo Grazioli. Trattativa nella notte
ROMA — «Berlusconi? È stato l’unico che ho chiamato prima di prendere la decisione. Ora cominceranno a dirgli che noi vogliamo fregarlo, ma è esattamente il contrario». Matteo Salvini racconta al gruppone leghista del Senato la sua telefonata con il fondatore di Forza Italia dopo la decisione di votare Anna Maria Bernini: «Io ho voluto soltanto dare una mano per fare chiarezza. Per vedere se i 5 stelle uscivano allo scoperto o puntavano soltanto a rompere la nostra coalizione».
La telefonata
Il leader della Lega descrive ai suoi la telefonata. Con lui stesso che avrebbe provato a illustrare all’ex premier il «trappolone» che rischiava di aprirsi sotto i piedi del centrodestra: «A Berlusconi avevano dato la certezza dell’elezione di Paolo Romani — racconta Salvini —. Ma io gli ho detto che non c’era nessuna sicurezza. Domani (oggi, ndr) bastano 132 voti, e a quel punto noi saremmo dipesi dagli umori del Pd o persino di Pietro Grasso». Poi, Salvini riprende con foga: «Pensate se qualcuno avesse tirato fuori il nome della Bonino, provate a pensarci… Secondo voi, chi avrebbero votato il Pd e i 5 Stelle?». Coloro che ascoltano Salvini dicono di non sapere che cosa il leader azzurro abbia risposto. Ma non occorre attendere troppo: a stretto giro arriva la nota furiosa di FI. Parte una lunga serata che diventa notte di trattative. Il segretario leghista riceve la telefonata di Luigi Di Maio subito dopo che i 5 Stelle hanno annunciato il loro sostegno alla Bernini. Poi, una raffica di telefonate da FI. Lo convocano a Palazzo Grazioli. Lui dice no: «Al massimo domattina alle 8.30». Lo accusano: «Non puoi pretendere di scegliere tu il nostro presidente». Lui ribatte: «Io ho fatto tutti i passi indietro e di lato che dovevo fare. Se non vi va bene la Bernini, date un altro nome».
Il finale cupo
Il finale cupo della giornata, il centrodestra sull’orlo dell’esplosione, stride con l’inizio della prima giornata d’Aula di Matteo Salvini. Poi, Salvini va a cercare il murale che lo ritrae in un appassionato bacio con Luigi Di Maio. E qui gli tocca di prendere atto dell’efficienza dell’amministrazione Raggi: «Ma nooo… l’hanno già cancellato». A metà mattina, infatti, è già stato coperto. Ma sul posto c’è una troupe televisiva che tenta con ogni mezzo di far baciare al leader leghista un altro uomo: «Abbia pazienza, ho gusti diversi».
«Non abbiamo un euro»
Arriva una telefonata. Al termine, Salvini sbuffa: «Sta a vedere che alla fine votano davvero Zanda. Un altro po’ che Forza Italia aspetta...». In strada Salvini viene bloccato anche dal direttore dell’agenzia Agi Riccardo Luna. A cui dice di non sapere nulla di Cambridge Analytica, la società che fu di Steve Bannon prima che quest’ultimo diventasse lo stratega della campagna di Donald Trump. Salvini l’8 marzo ha incontrato Bannon a Milano. Ma quanto alla società, «mai visti né sentiti». Non fosse altro, per questione di denaro: «Ma avete visto quanto li hanno pagati per la campagna di Trump? Noi non abbiamo un euro, come è noto». Quanto alla segretezza dell’incontro, «non c’ero soltanto io. Di certo non io ma altri hanno chiesto la riservatezza». La mossa di votare Bernini, quando Salvini entra al Senato, pare non sia ancora maturata. Ma se l’obiettivo era quello di salvaguardare il centrodestra, qualcosa deve essere andato storto.
23 marzo 2018 (modifica il 23 marzo 2018 | 23:47)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Cremonesi Corriere della Sera
ROMA — «Berlusconi? È stato l’unico che ho chiamato prima di prendere la decisione. Ora cominceranno a dirgli che noi vogliamo fregarlo, ma è esattamente il contrario». Matteo Salvini racconta al gruppone leghista del Senato la sua telefonata con il fondatore di Forza Italia dopo la decisione di votare Anna Maria Bernini: «Io ho voluto soltanto dare una mano per fare chiarezza. Per vedere se i 5 stelle uscivano allo scoperto o puntavano soltanto a rompere la nostra coalizione».
La telefonata
Il leader della Lega descrive ai suoi la telefonata. Con lui stesso che avrebbe provato a illustrare all’ex premier il «trappolone» che rischiava di aprirsi sotto i piedi del centrodestra: «A Berlusconi avevano dato la certezza dell’elezione di Paolo Romani — racconta Salvini —. Ma io gli ho detto che non c’era nessuna sicurezza. Domani (oggi, ndr) bastano 132 voti, e a quel punto noi saremmo dipesi dagli umori del Pd o persino di Pietro Grasso». Poi, Salvini riprende con foga: «Pensate se qualcuno avesse tirato fuori il nome della Bonino, provate a pensarci… Secondo voi, chi avrebbero votato il Pd e i 5 Stelle?». Coloro che ascoltano Salvini dicono di non sapere che cosa il leader azzurro abbia risposto. Ma non occorre attendere troppo: a stretto giro arriva la nota furiosa di FI. Parte una lunga serata che diventa notte di trattative. Il segretario leghista riceve la telefonata di Luigi Di Maio subito dopo che i 5 Stelle hanno annunciato il loro sostegno alla Bernini. Poi, una raffica di telefonate da FI. Lo convocano a Palazzo Grazioli. Lui dice no: «Al massimo domattina alle 8.30». Lo accusano: «Non puoi pretendere di scegliere tu il nostro presidente». Lui ribatte: «Io ho fatto tutti i passi indietro e di lato che dovevo fare. Se non vi va bene la Bernini, date un altro nome».
Il finale cupo
Il finale cupo della giornata, il centrodestra sull’orlo dell’esplosione, stride con l’inizio della prima giornata d’Aula di Matteo Salvini. Poi, Salvini va a cercare il murale che lo ritrae in un appassionato bacio con Luigi Di Maio. E qui gli tocca di prendere atto dell’efficienza dell’amministrazione Raggi: «Ma nooo… l’hanno già cancellato». A metà mattina, infatti, è già stato coperto. Ma sul posto c’è una troupe televisiva che tenta con ogni mezzo di far baciare al leader leghista un altro uomo: «Abbia pazienza, ho gusti diversi».
«Non abbiamo un euro»
Arriva una telefonata. Al termine, Salvini sbuffa: «Sta a vedere che alla fine votano davvero Zanda. Un altro po’ che Forza Italia aspetta...». In strada Salvini viene bloccato anche dal direttore dell’agenzia Agi Riccardo Luna. A cui dice di non sapere nulla di Cambridge Analytica, la società che fu di Steve Bannon prima che quest’ultimo diventasse lo stratega della campagna di Donald Trump. Salvini l’8 marzo ha incontrato Bannon a Milano. Ma quanto alla società, «mai visti né sentiti». Non fosse altro, per questione di denaro: «Ma avete visto quanto li hanno pagati per la campagna di Trump? Noi non abbiamo un euro, come è noto». Quanto alla segretezza dell’incontro, «non c’ero soltanto io. Di certo non io ma altri hanno chiesto la riservatezza». La mossa di votare Bernini, quando Salvini entra al Senato, pare non sia ancora maturata. Ma se l’obiettivo era quello di salvaguardare il centrodestra, qualcosa deve essere andato storto.
23 marzo 2018 (modifica il 23 marzo 2018 | 23:47)
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Marco Cremonesi Corriere della Sera
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