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Ad una opinione rispondi con un'altra opinione. Mai con l'offesa.

Libertà non è  mai "libertinaggio"
Il diritto di parola non è il diritto all’insulto.
di Luigi Palamara 
Viviamo un tempo curioso: tutti parlano, pochi ascoltano. I social, nati come piazze di condivisione, si sono trasformati in ring dove ciascuno brandisce la tastiera come una clava. Eppure, non basta avere un profilo per essere pensanti. Né basta scrivere per dire qualcosa che valga la pena leggere.

Qualche fenomeno — perché altro termine non regge — crede che basti l’illusione d’un pubblico per sentirsi autorizzato a colpire. Si confonde il diritto di parola con la licenza di offendere, si scambia l’opinione per sfogo, la libertà per arroganza. Ma la libertà di espressione, senza responsabilità, è solo vandalismo verbale.

"Il vero dialogo nasce dall’empatia, dal riconoscimento dell’altro come essere umano, non come bersaglio."
“Chi insulta per argomentare è già sconfitto.” E oggi più che mai, queste due lezioni si intrecciano come anticorpi morali contro il virus dell’insulto facile.

Perché scrivere su un social non è un atto neutro: è una dichiarazione. È un gesto che ha peso. E se l’offesa può sembrare effimera in una storia di 24 ore, le sue conseguenze possono durare molto di più. L’offesa, anche quando digitale, ha la densità di un sasso lanciato in una stanza chiusa.

Nei miei spazi — che non sono feudi, ma luoghi civili di parola — l’ospitalità è concessa a chi sa distinguere il pensiero dall’invettiva. Chi vuole discutere, è il benvenuto. Chi cerca rissa, vada altrove. Perché chi non rispetta l’altro, in fondo, non rispetta nemmeno se stesso.

E la vera rivoluzione, oggi, non è urlare più forte. È scegliere di non farlo.

Luigi Palamara 

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