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La targa che sembra una lapide.


Ah, Reggio Calabria. Una città che non si smentisce mai. Una città dove il cemento è più sincero delle parole e le targhe spuntano come erbacce sul ciglio della strada. Ce n'è per tutti: politici, artisti mancati, amministratori che amministrano poco e si targano molto. Non basta fare qualcosa, no. Serve scolpirlo su una lastra di marmo e sbatterlo sotto il naso di chi passa, perché la gloria è una brutta bestia: ti scappa dalle mani se non la inchiodi su una parete.

Ma poi c'è il colpo di genio: una targa con un errore grammaticale. Roba che fa venire la febbre anche a un analfabeta. Dieci anni lì, esposta come una piaga sotto il sole del Palazzo della Cultura Pasquino Crupi. Il povero Crupi, che forse dalla tomba sta strillando bestemmie in dialetto calabrese. E noi qui, che ci limitiamo al voltastomaco, perché ormai indignarsi è un lusso che non possiamo permetterci.

Le targhe vanno meritate, non imposte. Punto. Lo sanno anche i muri. Chi amministra la cosa pubblica dovrebbe fare il suo lavoro e poi sparire senza lasciare traccia, come i vecchi ladri gentiluomini. Ma no, qui si targano da soli, si applaudono davanti allo specchio, si inchiodano alla storia con l'arroganza di chi non ha capito niente.

E allora polverizzatela quella targa. Fatela a pezzi. Gettatela al vento come le ceneri di un parente che non sopportavate. Perché alla faccia della cultura, questa è solo una lapide all’idiozia.

Luigi Palamara

Reggio Calabria 9 febbraio 2025

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