Quarta Repubblica e Roberto Occhiuto.
Il pianto del potente e l’eco del silenzio calabrese
Editoriale di Luigi Palamara
C’è un momento, nella parabola di ogni uomo di potere, in cui il riflesso dello specchio comincia a tremare. Non è incrinato dalla giustizia, (quella arriverà, con i suoi tempi a volte anche ad orologeria, come afferma qualcuno, e i suoi verdetti), ma dallo sguardo della gente che, invece di accorrere, resta ferma. Immobile. Mutamente distante. È quel silenzio che oggi circonda il Presidente Occhiuto, e che egli scambia, pericolosamente, per ingratitudine o complotto mediatico.
"L’assenza del “movimento collettivo” nasce dal fatto che non c’è una spinta ideale, una visione, un contagio emotivo.
I calabresi, semplicemente, hanno altro a cui pensare. E non sempre ciò che per il potente è dramma, per il popolo è tragedia."
Se un giornale non può diventare Procura, è anche vero che Porro e Rete4 non è un giudice e i social non sono un’aula di tribunale. La stampa fa il suo mestiere, sbaglia a volte, eccede, ma è libera. E l’uomo pubblico, quando inciampa, deve sapere distinguere tra persecuzione e scrutinio. È legittimo chiedere rispetto — sempre — per chi si trova sotto indagine. È doveroso, però, ricordare che la fiducia popolare non si elemosina con apparizioni televisive o con appelli costruiti per generare empatia.
Colpisce il tentativo maldestro di voler risvegliare un popolo che non ha alcuna intenzione di svegliarsi. Non lo ha fatto prima, non lo farà adesso. Non c’è un caso Roberto Occhiuto nella sensibilità calabrese, perché quella stessa terra è abituata da decenni a scandali, promesse, polvere sollevata e subito dimenticata. E mentre in studio si invoca il garantismo a orologeria, in strada c’è chi lotta contro cartelle pazze, malasanità, disservizi cronici, e una politica onnipresente nei privilegi e assente nei bisogni.
Fa sorridere, amaramente, l’affermazione secondo cui certe attività imprenditoriali servirebbero a “non dipendere dalla politica”. Padre, figlio e spirito di partito: una Trinità tutta italiana che non lascia mai i palazzi, ma li abita e li plasma, come fosse un diritto ereditario. E poi, ci si sorprende se qualcuno chiede conto. Se qualcuno indaga. Se qualche giornale — che oggi viene bollato come “house organ”, Cancelleria della Procura — riporta fatti.
Il punto non è la colpevolezza o l’innocenza, che spetta a un giudice stabilire. Il punto è la pretesa, questa sì arrogante, di sottrarsi alla normalità del sospetto. Di vivere la crisi come lesa maestà. No, Presidente, non funziona così. Se si è davvero convinti della propria correttezza, ci si difende nel silenzio operoso, non nel clamore della vittimizzazione.
Ciò che resta, oggi, è la sproporzione tra l’invocazione di un popolo in rivolta e il popolo che non si muove. Non per ignavia, ma per saturazione. Perché anche la rabbia, in Calabria, ha un limite. E non è il palazzo sotto assedio che oggi racconta la storia, ma la piazza vuota.
In fondo, il vero dramma umano non è l’indagine. È l’eco del silenzio che ritorna indietro quando si lancia il grido.
Fine della storia ...la Calabria e i calabresi calano il sipario.
Luigi Palamara
@luigi.palamara Quarta Repubblica e Roberto Occhiuto. Il pianto del potente e l’eco del silenzio calabrese Editoriale di Luigi Palamara C’è un momento, nella parabola di ogni uomo di potere, in cui il riflesso dello specchio comincia a tremare. Non è incrinato dalla giustizia, (quella arriverà, con i suoi tempi a volte anche ad orologeria, come afferma qualcuno, e i suoi verdetti), ma dallo sguardo della gente che, invece di accorrere, resta ferma. Immobile. Mutamente distante. È quel silenzio che oggi circonda il Presidente Occhiuto, e che egli scambia, pericolosamente, per ingratitudine o complotto mediatico. "L’assenza del “movimento collettivo” nasce dal fatto che non c’è una spinta ideale, una visione, un contagio emotivo. I calabresi, semplicemente, hanno altro a cui pensare. E non sempre ciò che per il potente è dramma, per il popolo è tragedia." Se un giornale non può diventare Procura, è anche vero che Porro e Rete4 non è un giudice e i social non sono un’aula di tribunale. La stampa fa il suo mestiere, sbaglia a volte, eccede, ma è libera. E l’uomo pubblico, quando inciampa, deve sapere distinguere tra persecuzione e scrutinio. È legittimo chiedere rispetto — sempre — per chi si trova sotto indagine. È doveroso, però, ricordare che la fiducia popolare non si elemosina con apparizioni televisive o con appelli costruiti per generare empatia. Colpisce il tentativo maldestro di voler risvegliare un popolo che non ha alcuna intenzione di svegliarsi. Non lo ha fatto prima, non lo farà adesso. Non c’è un caso Roberto Occhiuto nella sensibilità calabrese, perché quella stessa terra è abituata da decenni a scandali, promesse, polvere sollevata e subito dimenticata. E mentre in studio si invoca il garantismo a orologeria, in strada c’è chi lotta contro cartelle pazze, malasanità, disservizi cronici, e una politica onnipresente nei privilegi e assente nei bisogni. Fa sorridere, amaramente, l’affermazione secondo cui certe attività imprenditoriali servirebbero a “non dipendere dalla politica”. Padre, figlio e spirito di partito: una Trinità tutta italiana che non lascia mai i palazzi, ma li abita e li plasma, come fosse un diritto ereditario. E poi, ci si sorprende se qualcuno chiede conto. Se qualcuno indaga. Se qualche giornale — che oggi viene bollato come “house organ”, Cancelleria della Procura — riporta fatti. Il punto non è la colpevolezza o l’innocenza, che spetta a un giudice stabilire. Il punto è la pretesa, questa sì arrogante, di sottrarsi alla normalità del sospetto. Di vivere la crisi come lesa maestà. No, Presidente, non funziona così. Se si è davvero convinti della propria correttezza, ci si difende nel silenzio operoso, non nel clamore della vittimizzazione. Ciò che resta, oggi, è la sproporzione tra l’invocazione di un popolo in rivolta e il popolo che non si muove. Non per ignavia, ma per saturazione. Perché anche la rabbia, in Calabria, ha un limite. E non è il palazzo sotto assedio che oggi racconta la storia, ma la piazza vuota. In fondo, il vero dramma umano non è l’indagine. È l’eco del silenzio che ritorna indietro quando si lancia il grido. Fine della storia ...la Calabria e i calabresi calano il sipario. Luigi Palamara #calabria #robertoocchiuto #presidente #quartarepubblica #avvisodigaranzia #editoriale #luigipalamara #luipal #politica #vocenarrante ♬ suono originale - Luigi Palamara
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