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L’Etna ruggisce, ma l’uomo ascolta soltanto quando trema la sua agenda

L’Etna ruggisce, ma l’uomo ascolta soltanto quando trema la sua agenda

di Luigi Palamara


L’Etna si è svegliata, e come ogni gigante che si ridesta dopo un lungo silenzio, non lo ha fatto con discrezione. Ha sbadigliato lava, tossito fumo nero fino a inghiottire il cielo, e ha sibilato con quella voce antica che solo i vulcani possiedono, e che gli uomini, ciechi nella loro abitudine, ricordano sempre troppo tardi di temere.

Un tratto del cratere di Sud-Est è crollato, come una palpebra che si abbassa su un occhio di fuoco. Ne è scaturito un flusso piroclastico, una di quelle parole che usano i geologi per dare forma al terrore. E così la Valle del Leone, a tremila metri d’altezza, si è fatta scenario di uno spettacolo primordiale, con lava che trabocca e boati che scuotono le viscere dei paesi etnei.

E tuttavia, come accade da millenni, la vita continua. I voli all’aeroporto di Catania restano regolari, ché la burocrazia del cielo è più tenace del magma. Il livello d’allerta è rosso, ma il cielo è terso e i venti dormono: la nube resta là dove il vulcano l’ha lasciata, come un pensiero inquietante che ancora non ha trovato il coraggio di farsi azione.

Ma il punto, signori miei, non è tanto la lava né il tremore sismico. È l’uomo. L’uomo che sale sul cratere come se l’Etna fosse un parco giochi, attratto dalla bellezza e cieco al pericolo. Complice una giornata di sole, la montagna è stata presa d’assalto da turisti ed escursionisti, piccoli Ulisse del tempo moderno che sfidano il gigante per un selfie in vetta, e magari si stupiscono se poi il gigante si stanca.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia osserva, misura, prevede. Ma nessuno misura l’incoscienza. Nessuno mette in scala quel bisogno insopprimibile di spettacolo che fa dell’eruzione un evento da social, anziché una liturgia della natura. E così, mentre l’Etna parla con la voce degli dei, noi continuiamo a rispondere con quella dei commenti online.

Certo, per ora tutto è contenuto. Le colate restano alte, i centri abitati al sicuro, l’aeroporto aperto. Ma la vera domanda non è se il vulcano si calmerà. È se noi ci meritiamo il privilegio di abitare una terra tanto potente e tanto generosa. Perché se un giorno dovesse decidere di ricordarci davvero chi comanda, non ci sarà allerta rossa o modello previsionale a salvarci dalla nostra stessa arroganza.

L’Etna non erutta per disturbare i voli. Erutta perché è viva. E forse è tempo che anche noi ci svegliamo, prima che il boato successivo non sia solo il rumore della montagna, ma quello del nostro disincanto.

Luigi Palamara
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