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Il Fascismo e Lamberti. Quel revisionismo gentile che puzza di rimozione

Il Fascismo e Lamberti. Quel revisionismo gentile che puzza di rimozione
Editoriale di Luigi Palamara


C’è un momento, in ogni stagione della storia, in cui le parole smettono di essere semplici opinioni e diventano bisturi sulla memoria collettiva. Succede quando si gioca col fuoco del revisionismo con il tono pacato del dubbio finto-innocente. È il caso della dichiarazione del candidato a sindaco di Reggio Calabria, Eduardo Lamberti Castronuovo, che — con la voce affettata dell’equidistanza — afferma:
“Il fascismo? Non lo so. Io non c’ero e non lo posso giudicare.”

Parole che non suonano nuove. Le abbiamo già sentite.
Nei salotti dove si gioca a relativizzare la storia, nei corridoi dove si pensa che basti non urlare per non essere colpevoli. È il vecchio trucco del “non schierarsi”, del rimanere nel limbo delle opinioni per evitare il peso delle responsabilità. Ma c’è un punto oltre il quale la neutralità diventa complicità.

E qui il problema non è solo la frase, già di per sé grave per un uomo che aspira a governare una città ferita, profonda, mai pacificata. Il vero problema è la toppa: peggiore del buco.
La replica trasmessa su RTV, nella quale miracolosamente scompare proprio quella frase incriminata, è l’evidenza plastica di un tentativo maldestro di riscrittura.
Non è solo negare l’errore: è negare la memoria. È trattare il cittadino come uno sprovveduto.

Ma non basta. Perché a margine di questa vicenda si inserisce un altro tema, altrettanto inquietante: il tentativo di condizionare la libera stampa.
Una conversazione privata su WhatsApp, resa pubblica per necessità di trasparenza, mostra il tentativo di una persona legata al candidato di dissuadere chi fa domande scomode.
"Rovini la tua professionalità", si dice al giornalista.
"Perché incaponirti?", "Non prenderlo di mira", "Non è giusto".
Sottinteso: raccontare ciò che è accaduto, nominare la realtà, diventa persecuzione.

No.
Fare il giornalista non è “incattivirsi”. È scegliere. È osservare e raccontare. È saper dire “questo no”, anche quando è scomodo. È essere partigiani della verità, non neutrali del nulla.

Ecco allora che si impone una domanda seria:
Una persona che afferma di non poter giudicare il fascismo — perché non lo ha vissuto — può rappresentare le istituzioni democratiche della Repubblica italiana?
Può tenere in tasca, con serietà, una medaglia di Grande Ufficiale della Repubblica, conferitagli appena il 2 giugno 2025 dal Presidente Mattarella attraverso il Prefetto Clara Vaccaro?

Chi serve lo Stato non può far finta che il fascismo sia un fatto da bar.
Il fascismo è stato giudicato dalla Storia, dai tribunali, dai morti nelle fosse, dai vivi nelle piazze liberate, dalla Costituzione nata sulle sue ceneri.
Non è un’opinione: è un crimine.

Si valuti dunque con rigore — e senza opportunismi — se esistono gli estremi per il ritiro dell’onorificenza pubblica e di ogni incarico che abbia a che fare con la rappresentanza dello Stato.

Il dibattito è aperto. Ma una cosa dev’essere chiara:
Chi vuole amministrare una città, prima ancora che competente, deve essere credibile.
E la credibilità nasce dal coraggio di riconoscere un errore, non dal tentativo di nasconderlo.

Questa storia non è ancora finita. E noi continueremo a raccontarla.
Perché la verità, quella vera, ha una sola parte: quella della memoria.

Luigi Palamara
Reggio calabria 11 giugno 2025

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@luigi.palamara

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