Editoriale di Luigi Palamara
Reggio Calabria 28 aprile 2025
Giuseppe Falcomatà si avvia verso la fine del suo secondo mandato da sindaco di Reggio Calabria. Non potrà ricandidarsi, e intorno a lui si affacciano tensioni, rinunce, pressioni per indicare un successore. Ma leggere tutto questo come una sconfitta personale è un errore: la politica, oggi più che mai, è fatta di sfumature.
Nel tempo della comunicazione istantanea e della politica semplificata, dove ogni gesto viene interpretato in tempo reale e ogni incertezza viene scambiata per debolezza, c’è qualcosa che continua a sfuggire al racconto dominante: la complessità. E la complessità, nella politica di oggi, è spesso un peso che nessuno vuole portare. Eppure è da lì che bisogna partire, soprattutto quando si osservano situazioni che sembrano sfuggire alle letture lineari.
È il caso di Reggio Calabria, dove Giuseppe Falcomatà, sindaco al suo secondo mandato, attraversa una fase amministrativa particolarmente delicata. Undici anni alla guida della città, una sospensione lunga due anni per una vicenda giudiziaria da cui è uscito senza condanne definitive, e un ritorno che ha segnato l’ennesimo passaggio di un percorso politico accidentato, ma mai interrotto.
Oggi, però, quella parabola è giunta al capolinea naturale: per legge, Falcomatà non potrà ricandidarsi. E questo cambia tutto. Ogni scelta, ogni movimento, ogni vuoto o rinuncia, assume un significato che va ben oltre la contingenza. La città, i partiti, l’opinione pubblica attendono – o forse pretendono – che il sindaco indichi un successore. Una figura politica capace di proseguire un progetto o, per alcuni, di voltare pagina.
Nel frattempo, la vicenda della nuova Giunta comunale ha alimentato tensioni. Almeno due donne, forse tre o quattro, hanno rifiutato l’incarico di assessore. Il fatto ha suscitato interpretazioni immediate: Falcomatà è isolato, non controlla più la sua squadra, è stato lasciato solo.
Ma davvero basta questo per parlare di crisi? O forse si tratta di una lettura troppo comoda, che confonde l’aritmetica con la politica, come se in questo campo due più due facesse sempre quattro?
La verità è che Falcomatà ha scelto – e continua a scegliere – di muoversi fuori dai percorsi più battuti. Non si affida ai manuali di sopravvivenza, non si piega alle logiche spartitorie dei partiti, non baratta incarichi con pacche sulle spalle. Decide. Anche da solo. Anche a costo di sbagliare. Anche a costo di rimanere politicamente isolato.
Ed è forse proprio questa libertà, questa sottrazione alle liturgie della politica tradizionale, a creare disorientamento e fastidio. Non l’errore in sé, ma il metodo. Non il contenuto delle decisioni, ma la loro autonomia. In un contesto nazionale dove la mediazione è diventata spesso un sinonimo elegante di immobilismo, chi agisce, chi rompe, chi tenta strade proprie, viene trattato come un elemento di disturbo.
Naturalmente, questo ha un prezzo. La solitudine politica, al di là delle retoriche, è dura. Ma è anche lo spazio dove si misura la coerenza. Dove si costruisce – se si è capaci – un’eredità che va oltre la logica della continuità personale. Perché oggi la vera sfida non è conservare il potere, ma orientare il futuro.
Il sindaco di Reggio Calabria è, in questo momento, chiamato non solo a completare una Giunta, ma a offrire una direzione politica per il dopo. Non sarà lui il candidato alle prossime elezioni, ma sarà suo il peso – o il merito – dell’impronta lasciata. E questa impronta, se vuole essere riconoscibile, non potrà che essere il frutto di una scelta netta. Anche scomoda. Anche impopolare.
La città, intanto, osserva. Con fatica, con disillusione, con distacco. È il prezzo di anni in cui la politica ha smarrito il contatto con la vita quotidiana delle persone. Ma tra il non capire e il ridurre tutto a uno schema già scritto, c’è una differenza che vale la pena difendere. Perché la politica non è solo il teatro delle poltrone che si muovono: è anche – e dovrebbe tornare ad essere – visione, rischio, e persino ambiguità. Se questa ambiguità nasce dal tentativo di decidere davvero.
Il futuro, come sempre, è aperto. Falcomatà oggi dà le carte, ma non sarà lui a giocarle fino in fondo. Toccherà ad altri – e forse anche a chi oggi si tiene ai margini – raccogliere quella sfida. A patto di accettare che, in politica, la leadership non si eredita: si costruisce, si conquista, si dimostra. Anche – e soprattutto – nei momenti di vuoto.
Luigi Palamara
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