L’impero, il mito e l’orgoglio dei popoli: perché non saremo mai tutti americani
Editoriale di Luigi Palamara
C’è una frase, scolpita nella memoria collettiva da un uomo che non ha mai avuto paura di dire ciò che pensava, che racchiude un’intera visione del mondo: «Gli Stati Uniti comandano il mondo, credono di comandare il mondo, però noi non siamo tutti americani.» Così parlava Diego Armando Maradona, il genio ribelle del calcio, ma anche l’icona di una resistenza culturale.
L’America comanda. È vero. Comanda con il dollaro, con Hollywood, con la NATO, con la Silicon Valley, e perfino con i jeans. Ma ciò che è più sottile – e più pericoloso – è che crede di comandare. Come ogni impero, non si accontenta del potere: pretende l’adesione. Vuole che il mondo non solo obbedisca, ma si identifichi, si uniformi, sogni come sogna l’americano medio.
Eppure, quel “però” di Maradona è un colpo secco, come un dribbling che spezza le gambe all’ideologia. Noi non siamo tutti americani. È la rivendicazione della diversità, dell’autonomia spirituale e culturale dei popoli. È l’affermazione che esistono ancora luoghi dove il cuore batte per altri miti, dove la lingua non è solo l’inglese globale, e dove la dignità non si compra in borsa.
L’impero americano – come tutti gli imperi – è più fragile di quanto sembri. Non cadrà per una guerra, ma per un risveglio. E quel risveglio comincia proprio da lì: dal rifiuto silenzioso, ma irriducibile, di sentirsi parte di un mondo che non ci appartiene. Come Maradona, che tra Napoli e Buenos Aires, tra il campo e la folla, ha sempre saputo da che parte stare: non con i potenti, ma con quelli che non si lasciano conquistare.
Luigi Palamara
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@luigi.palamara L’impero, il mito e l’orgoglio dei popoli: perché non saremo mai tutti americani Editoriale di Luigi Palamara C’è una frase, scolpita nella memoria collettiva da un uomo che non ha mai avuto paura di dire ciò che pensava, che racchiude un’intera visione del mondo: «Gli Stati Uniti comandano il mondo, credono di comandare il mondo, però noi non siamo tutti americani.» Così parlava Diego Armando Maradona, il genio ribelle del calcio, ma anche l’icona di una resistenza culturale. L’America comanda. È vero. Comanda con il dollaro, con Hollywood, con la NATO, con la Silicon Valley, e perfino con i jeans. Ma ciò che è più sottile – e più pericoloso – è che crede di comandare. Come ogni impero, non si accontenta del potere: pretende l’adesione. Vuole che il mondo non solo obbedisca, ma si identifichi, si uniformi, sogni come sogna l’americano medio. Eppure, quel “però” di Maradona è un colpo secco, come un dribbling che spezza le gambe all’ideologia. Noi non siamo tutti americani. È la rivendicazione della diversità, dell’autonomia spirituale e culturale dei popoli. È l’affermazione che esistono ancora luoghi dove il cuore batte per altri miti, dove la lingua non è solo l’inglese globale, e dove la dignità non si compra in borsa. L’impero americano – come tutti gli imperi – è più fragile di quanto sembri. Non cadrà per una guerra, ma per un risveglio. E quel risveglio comincia proprio da lì: dal rifiuto silenzioso, ma irriducibile, di sentirsi parte di un mondo che non ci appartiene. Come Maradona, che tra Napoli e Buenos Aires, tra il campo e la folla, ha sempre saputo da che parte stare: non con i potenti, ma con quelli che non si lasciano conquistare. Luigi Palamara #diegoarmandomaradona #fabiofazio #statiuniti #argentina #luigipalamara #palamaraluigi #luispal #luipal #roccafortedelgreco #aspromonte ♬ suono originale - Luigi Palamara
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