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Il Ponte dei sogni e dei rinvii. Anatomia di un’eterna promessa

Il Ponte dei sogni e dei rinvii. Anatomia di un’eterna promessa

Editoriale di Luigi Palamara



C’è qualcosa di quasi mistico nel Ponte sullo Stretto di Messina. Come la fenice, risorge ciclicamente dalle sue ceneri senza mai essere bruciata del tutto, custodito nei cassetti dei ministeri, evocato nei proclami da campagna elettorale, accarezzato come un’utopia infrastrutturale che promette modernità ma offre solo carta, parole e conferenze stampa.

Anche il 29 maggio 2025, a Reggio Calabria, è andata in scena la consueta liturgia. Matteo Salvini, Vicepremier e instancabile narratore dell’opera che verrà, ha ripetuto il mantra già ascoltato: “Entro l’estate inizieranno i lavori”. Lo disse un anno fa, lo ridice oggi. E probabilmente lo ripeterà anche domani, perché la forza del Ponte sta proprio lì: nel suo essere promessa permanente, mai realtà concreta.

Il problema, però, non è solo politico. È culturale. È antropologico. Perché il Ponte, più che un’opera pubblica, è diventato un mito fondativo, una leggenda moderna. Un po’ come l’America per gli emigranti del Novecento: un altrove di speranza che nessuno ha mai toccato, ma che tutti credono reale.

Eppure i numeri sono tutt’altro che eterei: 300 milioni già spesi, come afferma Pietro Ciucci AD della Società Stretto di Messina, solo per progetti e studi, forse di più. Il tutto, senza neanche una prima pietra piantata nel terreno. Si progettano sogni con il denaro dei cittadini. Si disegna il futuro con la matita della retorica. Ma il cantiere rimane un’astrazione, come certe promesse d’amore che servono solo a non sentirsi soli.

E mentre il Ponte continua a oscillare tra il dire e il fare, tra l’annuncio e l’attesa, la scena si fa grottesca. Non Giornalisti che fanno domande del tipo come è andata la riunione. Altri che le interrompono. Qualcuno che critica chi osa porle. È il trionfo del servilismo in formato diretta stampa, dove l’informazione si fa complice e non cane da guardia. Altro che quarto potere: qui siamo alla quarta fila.

Il Sindaco Giuseppe Falcomatà, con la saggezza di chi le ha viste tutte, risponde con un sorriso: “Vedremo”. Tradotto: non ci credo, ma non posso dirlo. È la Calabria che annuisce, ma non si illude. È l’Italia che applaude, ma sa di essere al teatro delle repliche.

Il Ponte, insomma, c’è. Ma solo nel sogno del politico di turno. Un sogno comodo, perché non costa fatica. E fa dimenticare, per un attimo, la realtà che ci circonda: treni lenti, strade rotte, territori abbandonati, sanità vergognosa. Il Ponte diventa così la grande distrazione di massa, l’illusione ingegneristica che tiene buono il Sud e lucida l’ego del ministro.

Diciamola così. Non lo faranno mai, ma continueranno a prometterlo. Perché promettere è gratis. E illudere, in politica, è l’unica vera opera pubblica riuscita.

Luigi Palamara

Reggio Calabria 32 maggio 2025

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@luigi.palamara Il Ponte dei sogni e dei rinvii. Anatomia di un’eterna promessa Editoriale di Luigi Palamara C’è qualcosa di quasi mistico nel Ponte sullo Stretto di Messina. Come la fenice, risorge ciclicamente dalle sue ceneri senza mai essere bruciata del tutto, custodito nei cassetti dei ministeri, evocato nei proclami da campagna elettorale, accarezzato come un’utopia infrastrutturale che promette modernità ma offre solo carta, parole e conferenze stampa. Anche il 29 maggio 2025, a Reggio Calabria, è andata in scena la consueta liturgia. Matteo Salvini, Vicepremier e instancabile narratore dell’opera che verrà, ha ripetuto il mantra già ascoltato: “Entro l’estate inizieranno i lavori”. Lo disse un anno fa, lo ridice oggi. E probabilmente lo ripeterà anche domani, perché la forza del Ponte sta proprio lì: nel suo essere promessa permanente, mai realtà concreta. Il problema, però, non è solo politico. È culturale. È antropologico. Perché il Ponte, più che un’opera pubblica, è diventato un mito fondativo, una leggenda moderna. Un po’ come l’America per gli emigranti del Novecento: un altrove di speranza che nessuno ha mai toccato, ma che tutti credono reale. Eppure i numeri sono tutt’altro che eterei: 300 milioni già spesi, come afferma Pietro Ciucci AD della Società Dtretto di Messina, solo per progetti e studi, forse di più. Il tutto, senza neanche una prima pietra piantata nel terreno. Si progettano sogni con il denaro dei cittadini. Si disegna il futuro con la matita della retorica. Ma il cantiere rimane un’astrazione, come certe promesse d’amore che servono solo a non sentirsi soli. E mentre il Ponte continua a oscillare tra il dire e il fare, tra l’annuncio e l’attesa, la scena si fa grottesca. Non Giornalisti che fanno domande del tipo come è andta la riunione. Altri che le interrompono. Qualcuno che critica chi osa porle. È il trionfo del servilismo in formato diretta stampa, dove l’informazione si fa complice e non cane da guardia. Altro che quarto potere: qui siamo alla quarta fila. Il Sindaco Falcomatà, con la saggezza di chi le ha viste tutte, risponde con un sorriso: “Vedremo”. Tradotto: non ci credo, ma non posso dirlo. È la Calabria che annuisce, ma non si illude. È l’Italia che applaude, ma sa di essere al teatro delle repliche. Il Ponte, insomma, c’è. Ma solo nel sogno del politico di turno. Un sogno comodo, perché non costa fatica. E fa dimenticare, per un attimo, la realtà che ci circonda: treni lenti, strade rotte, territori abbandonati, sanità vergognosa. Il Ponte diventa così la grande distrazione di massa, l’illusione ingegneristica che tiene buono il Sud e lucida l’ego del ministro. Diciamola così. Non lo faranno mai, ma continueranno a prometterlo. Perché promettere è gratis. E illudere, in politica, è l’unica vera opera pubblica riuscita. Luigi Palamara #narrazione #PonteSulloStretto #messina #reggiocalabria #matteosalvini #giuseppefalcomatà #pietrociucci #luigipalamara #palamaraluigi #luispal #luipal #lupa ♬ suono originale - Luigi Palamara

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