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La Calabria non dimentica: il risveglio di un popolo tradito dalla sanità

La Calabria non dimentica: il risveglio di un popolo tradito dalla sanità

di Luigi Palamara 
C’è un filo che lega le piazze della protesta al cuore spezzato di una terra che non ha più paura di dire la verità: la sanità calabrese è stata devastata, pezzo dopo pezzo, da una classe politica che ha anteposto l’opportunismo alle cure, gli interessi di parte al diritto alla salute. E ora, mentre a Catanzaro sfilano anche i responsabili del disastro, centrodestra e centrosinistra cercano ancora una volta di rifarsi una verginità politica tra slogan e amnesie comode.

Non possiamo dimenticare — e non dimenticheremo — che centrodestra e centrosinistra, per anni, hanno tagliato ospedali, cancellato assunzioni, ridotto la sanità pubblica a un guscio vuoto, mentre foraggiavano il privato e trasformavano il dolore in occasione politica. Il risultato? Una terra dove si muore perché l’ambulanza non arriva, perché un reparto è chiuso, perché per curarsi si è costretti ad abbandonare tutto. Una terra svuotata dei suoi medici migliori, costretti a emigrare per non piegarsi ai ricatti di partito.

La manifestazione del 10 maggio a Catanzaro ha segnato un momento storico. Non per i nomi altisonanti o le presenze politiche che si autoassolvono, ma per la forza della gente comune, delle famiglie spezzate, dei medici resistenti, di chi ha perso tutto e ha deciso di parlare. È stata la voce di una Calabria che non si riconosce più nel silenzio, nell’abbandono, nella retorica. Una Calabria che dice basta.

Scendere in piazza è sempre utile, perché è lì che la voce dei cittadini prende corpo e forma. È in quel luogo collettivo che il dolore si trasforma in rivendicazione, la rabbia in proposta, la rassegnazione in riscatto. Le presunte strumentalizzazioni di cui qualcuno parla sono solo un tentativo di svalutare una manifestazione che, invece, ha mostrato dignità, consapevolezza e partecipazione. Non bisogna lasciarsi distrarre dalle polemiche: bisogna guardare avanti, senza dimenticare. Il passato deve servire da monito, non da alibi. Deve insegnare, non bloccare.

A quella piazza, centrodestra e centrosinistra non dovevano esserci. Non perché non condividano la rabbia, ma perché non si può manifestare fianco a fianco con chi ha avuto responsabilità dirette nel tracollo del sistema sanitario. La loro piazza dovrebbe essere il silenzio, la riflessione, il mea culpa. Ma ancora una volta, hanno preferito la passerella.

Tuttavia, scaricare tutta la responsabilità sul passato — sebbene fondato — non basta più. Non serve gridare “noi non abbiamo mai governato” per proporsi come soluzione. Chi oggi si propone come alternativa senza mai essere stato al governo non ha il diritto di nascondersi dietro la comoda scusa dell’inesperienza. Se non si hanno idee concrete, visione, coraggio e competenza, l’assenza di precedenti non è una garanzia: è solo l’ennesimo slogan populista da campagna elettorale. La Calabria non ha bisogno di chi si limita a cavalcare la rabbia, ma di chi è pronto ad affrontare la complessità.

La verità è che non ci sono scorciatoie: serve una presa di coscienza collettiva, profonda, trasversale. Un’alleanza civica e culturale che metta al centro la sanità pubblica come bene comune. Serve agire concretamente, ora, con responsabilità diffusa, senza delegare più a chi ha già fallito né affidarsi a chi promette senza contenuto.

La sanità non è un tema da usare contro l’avversario di turno. È un diritto sancito dalla Costituzione. E se oggi qualcuno rivendica meriti per qualche assunzione o per aver “messo in regola i conti”, dovrebbe prima chiedere scusa per il fallimento strutturale di un sistema che ha umiliato generazioni intere.

La Calabria non è solo una regione ferita: è una comunità in lotta per la dignità. E quando un popolo comincia a ricordare — con nomi, volti, storie — allora non può più essere fermato. Perché chi ha memoria non si fa ingannare.

Questa non è più solo una battaglia per la sanità: è una battaglia per la verità. E la verità, finalmente, è scesa in piazza. E da quella piazza non uscirà più.

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