L’arroganza dei mediocri e il silenzio che uccide la verità
Editoriale di Luigi Palamara
Ci sono momenti in cui il giornalismo, quello vero, si prende una pausa. E non per stanchezza, ma per vergogna. Si ritira in disparte, schifato da un teatrino in cui le domande sono finzioni, le risposte sceneggiature, e chi dovrebbe cercare la verità non fa che recitare un copione scritto dalla mediocrità.
In giro ci sono troppi che si credono intervistatori solo perché infilano un microfono sotto al naso del potente di turno e sussurrano, come se fosse un atto eroico: «Com'è andato l'incontro?»
È l’apoteosi del nulla.
Non un'idea, non una visione, non una domanda che apra spiragli nel buio del potere. Solo codardia mascherata da professionalità. Vermi striscianti, non per natura, ma per scelta.
E allora succede l’irreparabile: l’informazione muore. Uccisa non dalla censura, ma dall’incompetenza. Dal servilismo travestito da cronaca. Dal provincialismo che chiama “giornalismo” ciò che è solo eco vuota di comunicati stampa.
Una città – qualunque città – senza una stampa libera e coraggiosa, è destinata a marcire. Non cresce, non si trasforma, non sogna. Resta ferma, inghiottita dalla sua stessa ignoranza, specchiandosi nei titoli di chi preferisce compiacere invece di disturbare.
La mediocrità ha preso il sopravvento. Ma non è inevitabile. Possiamo ancora dire no. Possiamo ancora alzarci in piedi e difendere il diritto a una parola onesta, a una domanda che faccia tremare i polsi, a un’editoria che non sia complice ma coscienza.
Io non ci sto.
E voi?
Luigi Palamara
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