Il volto livido della civiltà: i colori del dolore, le tinte della guerra
Editoriale di Luigi Palamara
Morte, paura, pianto. Ancora morte. Ancora guerra.
La ripetizione non è un espediente stilistico. È il riflesso di ciò che viviamo, di ciò che sentiamo, di ciò che scorre ogni giorno nei nostri occhi attraverso schermi sempre più luminosi, sempre più freddi.
Viviamo nel tempo della ripetizione dell’orrore.
Non è più l’eccezione, ma la norma. Non è più il lampo nella notte, ma l'alba quotidiana. Gaza non è un luogo: è un simbolo. È una condizione. È una finestra spalancata sul mondo che si rifiutiamo di guardare.
Le guerre non scoppiano più: continuano. Senza pause. Senza soluzioni. Senza pace.
Europa. La chiamiamo così come se bastasse un nome a unirci.
Ma l’Europa non è un continente: è un’invenzione narrativa.
La vera Europa oggi è un insieme di solitudini, di egoismi strutturati, di Stati che vivono di paura e reagiscono col cinismo.
Le disuguaglianze sono il vero ordigno inesploso sotto le nostre democrazie.
Esplode piano, ogni giorno, nelle scuole, nei quartieri, nei lavori precari, nelle case silenziose dove le persone contano i centesimi e non i sogni.
Viviamo in una illusione collettiva di socialità, dove ognuno scrive per non ascoltare, dove tutti parlano per non dire.
La rete è diventata un rosario sfilacciato di like e vuoti. Ci stringe al collo più che tra le mani.
E così, nella società della connessione, siamo più soli che mai.
E più vulnerabili che mai.
La guerra che ci scuote non è solo nei missili.
È nel non credere più a nulla. È nella disperazione quotidiana normalizzata.
La morte di un bambino a Gaza è diventata una riga di troppo in un feed che scorre troppo in fretta.
Israele e Palestina, Russia e Ucraina, Siria, Sudan, Congo, Yemen…
La Terza Guerra Mondiale non ha un inizio. Ha solo un continuo.
E solo adesso, forse, iniziamo a rendercene conto. Ma tardi, come sempre.
Non si può crescere all’infinito senza mietere.
Non si può consumare il pianeta e l’anima senza pagarne il prezzo.
E il conto ora è arrivato: in sangue, in dolore, in un vuoto che non ha più nemmeno una bandiera a cui appendere una speranza.
Viviamo in un’epoca che ha ucciso la poesia della pace e l’ha sostituita con la logica del profitto e del potere.
Abbiamo spento il calumet. E ci siamo dimenticati di accenderne un altro.
Oggi, più che mai, portiamo sul viso i colori del dolore.
E addosso l’odore acre, sordo, incancellabile della GUERRA.
Che Dio ci aiuti. Ma intanto, che almeno l'uomo provi a ritrovare se stesso.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati
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