SINNER-ALCARAZ. Il dolore della sconfitta, l’onore della lotta
Editoriale di Luigi Palamara
Perdere fa male. Sempre.
Ma perdere così, dopo aver toccato con mano la vittoria, lacera l’anima. Perché non è solo una questione di punteggio o di occasioni mancate. È una tragedia greca in diretta, con il destino che si diverte a cambiare maschera quando il sipario sembra già calato.
Da 2-0.
Tre match point.
Il servizio in mano sul 5-4 del quarto set.
Il cuore oltre la rete, i muscoli oltre il dolore, la mente dentro un’arena ostile.
Eppure c’era tutto. C’era l’attesa, c’era l’illusione, c’era quella fiammella che anche il più cinico degli spettatori aveva cominciato a chiamare speranza. Sinner, dopo tre mesi lontano dal campo, era lì: in piedi, lucido, eroico. Un ragazzo che non si è piegato né al dolore né alla pressione, ma solo – alla fine – al destino e al talento mostruoso di Carlos Alcaraz.
Cinque ore di battaglia. Di tennis che diventa racconto epico, gesto antico, sfida primordiale tra due giovani dèi del campo. E ancora una volta sarà l’altro a festeggiare, Alcaraz, che ha il volto sfrontato dei predestinati e il braccio di chi non conosce paura.
Ma chi ha visto non dimenticherà. Non dimenticherà i punti salvati, le rincorse impossibili, la fierezza con cui Sinner ha resistito.
Perché in certi momenti, perdere non significa cadere.
Significa essere all’altezza.
All’altezza di una sfida che segnerà un’epoca.
Luigi Palamara
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